20060528

Comunicato dall'estremo oriente #15

118 febbraio 2006
novantesimo quarto giorno del nuovo calendario coreano

ieri ho passato mezz’ora a cercare di salvarmi dalla lettura dei barbari di baricco. sono sempre lì, sulla prima pagina della repubblica. ammiccano. ma non voglio cedere. non voglio cedere al mieloso buonismo postvattimiano, mascherato da scetticismo e ironia piedimontina. non voglio cedere perché poi mi invischio mi accoccolo mi sdraio su quella prosa morbida. e ci sto bene. e questo stare bene mi dà fastidio. non lo leggo perché poi se lo leggo mi piace; però mi vergogno di dire che mi piace. e allora non lo leggo. e allora prendo e vado nel giardino segreto del palazzo segreto. che poi è un posto che tutti conoscono, qui vicino a casa. giardino segreto è proprio il suo nome.

è una bella giornata, e allora decido di portarmi dietro il libro giapponese, che è troppo tempo che ho iniziato ed è troppo tempo che non ho finito. mi addentro nel parco, dietro il palazzo segreto c’è un posto che conosco solo io. mi siedo su una panchina a guardare gli alberi che mi fanno ombra. faccio per aprire l'alleato nipponico.

evidentemente quest’angolo di giardino non è più solo un mio segreto, perché arriva un quartetto di ciacoloni che e si siede al mio fianco. la panca è per quattro; ci sono io che sono il quinto e quindi ci stringiamo, in nome dell’amicizia che lega i nostri popoli. e però si sa su una panca per quattro non ci si sta in cinque, e la piazza di zafferana ne è la costante conferma. loro parlano e ridono. i coreani quando ridono lo fanno un po’ ostentatamente, per dire e far sentire oh come mi diverto. le donne più degli uomini. non lo dico solo perché sono misogino; forse qui le donne da giovani non possono ridere, e allora da grandi ridono forte per recuperare. nel quartetto ci sono tre donne, vecchie.

mi rassegno, faccio un sospiro un po’ ostentato anche io (ma loro non sembrano accorgersi di nulla). chiudo il libro, mi alzo e cambio panca. nella mia nuova panca preferita c’è un vecchio che mi sorride silenzioso. è seduto e guarda il panorama di tegole nere del palazzo che sta sotto di noi. egli sta.
mi accomodo sul lato libero della panchina; per un attimo tento di sedermi con le gambe incrociate, ma rinuncio. mi slego i sandali e appoggio le piante dei piedi a terra. sento il brecciolino fresco sotto. sono mediamente soddisfatto della piega che sta prendendo il pomeriggio, anche se non progredisco come vorrei nella lettura.

sento dei movimenti sopra la mia testa, e ne vedo le ombre tra i miei piedi. alzo gli occhi e c’è uno scoiattolo grande così che mi guarda e mi dice di continuare a leggere, sennò col cavolo che scopro come va a finire il lettore di teschi. poi mi sorride e mi dice che mi vede sereno. sarà anche perché ho in tasca il biglietto aereo per la svizzera. mi rimetto a leggere. fruscìo di ali sulla sinistra, in prossimità della fontana di pietra. sono i primi due piccioni che incontro in corea. li guardo un poco in cagnesco. non sembrano capire il mio odio per il loro essere pennuti grigi e puzzolenti. do un cenno al coreano alla mia destra, gli sussurro 'ammazzateli adesso che sono pochi, sennò tra qualche anno scenderanno nelle piazze e prenderanno il potere come in italia'. poi mi rimetto a leggere, c’è un lungo spazio buio da attraversare, innominabili animali svolazzano nelle tenebre e il giapponese li tiene a distanza solo grazie alla flebile torcia che ha in mano.

il vecchio serafico si alza silenzioso e se ne va. me ne accorgo solo quando non sta più.

si avvicina un’ombra, un uomo si siede e mi chiede se disturba. io dico no, perché sono piemontese, ma la mia anima sicula dentro di me dice sì, minchia. l’uomo aspetta solo i secondi necessari a far scendere un discreto silenzio (le tre vecchie galline in lontananza continuano a ricordarmi che ridono, loro) e mi chiede
gesù ti disturba?
lui non disturba me, io non disturbo lui.
lui tace, stavolta ho risposto come cervello vuole. lui mi guarda un attimo e sibila, con occhio inquisitore
russo?
chissà se anche qui i russi sono ritenuti ancora atei stalinisti mangiabambini. magari i russi qui sono davvero atei stalinisti e mangiabambini.
no, vengo dalla spagna.
che è anche vero, una volta sono passato da madrid. tace. forse li ho battuti definitivamente, tutti gli ecumenici della corea. sportivamente mi stringe la mano, complimentandosi. si alza, fa per andarsene. poi si ferma, prende un legno e dicendomi
ricordati della croce.
traccia il segno nel brecciolino, proprio di fronte a me. poi se ne va, per sempre. colpito a tradimento dalla coda dello scorpione cristiano, rimango molti minuti a guardare fisso quel + sotto i miei piedi.

alla prossima, davide


mrlxdi

20060522

Comunicato dall'estremo oriente #14

111 febbraio 2006
ottantesimo settimo giorno del nuovo calendario coreano

come troisi che ricomincia da tre, io ricomincio da quattordici. il tredici in qualche modo esiste, un po’ nella mia mente un po’ nei miei sogni. a grandi linee è 12X11XX2X1122. magari il tredici lo faccio la prossima giornata e magari metto un 2 su juve-roma. ah no, la juve non c’è più nella schedina.

il senso dello stato in corea è forte, ma soprattutto ostenstato. il lotte department store, che è un iper-centro commerciale di lusso, apre i cancelli alle lussuose undici del mattino. all’apertura dei lussuosi cancelli, ai primi passi che i lussuosi clienti compiono tra i vari negozi gucci luis vitton armani jil sanders, risuonano in filodiffusione maestose le note dell’inno nazionale (a seguire l’inno della lotte corporation, anche se questa è un’altra storia). i commessi rimangono immobili e impettiti fino a quando la musica risuona nei lucidi corridoi. solo alla fine degli inni lo sporco mercimonio di desideri può cominciare lussuosamente.

non c’è pasqua, non c’è venticinque aprile, c’è il primo maggio ma non è per tutti. qui in corea è festa nazionale il cinque maggio perché è il giorno dei bambini. cosa che più laica è difficile pensare. a me piace il concetto che la festività sia legata al concetto scientifico del bambino. e non è solo perché sto attraversando il mio solito periodo di acuto desiderio di paternità primaverile, ma proprio per il valore laico, direi ciampiano che il concetto di giovane generazione si porta dietro. tanto più che giovane lo sono ancora, magari non tanto scientificamente. il children’s day solitamente è un giorno in cui il bimbo è più re assoluto del solito. è una cosa che anche in italia si farebbe se solo avessimo la sensibilità di fare una festa del genere e di non mascherarla con nomi tipo la festa del santo gesù bambino.

religione per religione, ho deciso di andare allo stadio a vedere una partita di calcio, seoul contro busan. essendo che era il loro giorno i bambini entravano gratis. e lo stadio era pieno (mai pensavo di citare venditti in vita mia). lo stadio era pieno di bambini. che, sempre per la paternità latente di cui prima, a me è parsa cosa buona e giusta e bella. poco prima dell’inizio della partita, le squadre già in campo, tutti tutti tutti si sono fermati ed alzati. silenzio irreale nello stadio. i bambini messi a tacere o taciuti da sé medesimi, e le note dell’inno nazionale coreano. io non so se l’inno coreano non ha parole, fatto sta che nessuno cantava. solo la musica e le mani di migliaia di persone sul cuore. e ho pensato che l’unica volta che ho sentito l’inno suonato in uno stadio è stato in un torino catania (1-0 gol di ferrante) di un po’ di anni fa, pochi giorni dopo la prima nassiriya. un minuto di silenzio e i tifosi siciliani che cantavano fratelli d’italia.

poi è iniziata la partita. l’ho capito dal fuoco di artificio che è esploso sotto la curva del seoul. un fiore di fuoco tutto rosso e fumo che si è alzato fino all’altezza della copertura dello stadio, con tutto un barluccichío di girandole verdi e fucsia che roteando si andavano allargando a coprire tutto fino ai distinti. e nastrini tutti d’oro che scendevano a pioggia dalle gradinate superiori. questi coreani sì che si intendono di raffinatezze. ancora l’ooh di ammirazione per l’ardito accostamento cromatico non si è spento, che già la squadra di casa passa in vantaggio. da una punizione innocuamente crossata dalla trequarti sinistra ad opera della mezz’ala offensiva ricardo (brasiliano? argentino? mah), il pallone, senza che sia toccato da nessuno, si insacca pigramente alla sinistra del portiere avversario. goal. e via con un altro fuoco di artificio. la reazione della squadra ospite si fa subito sentire e la compagine di busan, grazie ad un’azione più efficace che bella, prima pareggia i conti e poi si porta in vantaggio, proprio allo scadere dei primi quarantacinque minuti. niente botti per i goals degli altri, solo rabbia contenuta. durante l’intervallo oppio ai popoli. dopo un conto alla rovescia scandito all’unisono da tutti gli spettatori di lingua coreana, dall’anello di sommità della copertura dello stadio esplode una pioggia di migliaia di caramelle che si precipitano sugli spalti sottostanti da un’altezza di quaranta metri. un altro urlo di gioia e altrettante migliaia di mani alzate al cielo per cogliere quella inaspettata manna. messa così è allucinante. però la faccia dei bambini sopravvissuti alla pioggia di proiettili zuccherati era di un’allegria rinfrancante. vabbé. non so di preciso che tipo di caramelle i giocatori del seoul abbiano preso durante l’intervallo, fatto sta che rientrano come leoni e con una -fuoco di artificio-, due -fuoco di artificio-, tre -fuoco di artificio- e quattro reti (niente fuoco all’ultima, credo perché non si aspettavano così tante reti) liquidano la pratica. l’altra partita che ho visto dal vivo con un ammontare di goal paragonabile è l’unico derby di cui ho memoria: juve-toro 4-1, quando ancora giocavano tutte e due in serie A. comunque, dal ventesimo del secondo tempo tutti i bambini dello stadio dormivano e per loro la gara è finita diecimila caramelle a otto goal.

quest’anno il children’s day ha coinciso con il compleanno del buddha. non so se è il giorno dei bimbi che cambia data a seconda dell’anno, o se è buddha che cambia compleanno a seconda della luna. fatto sta che non è cosa di tutti gli anni che i due eventi coincidano. non so a voi, ma a me l’idea di compleanno di buddha mi fa venire in mente buddha infante; devono essere i miei secoli di dna italiano che cominciano a mescolare buddha con il children’s day. ma qui si è in corea e non solo nel mio cervello e quindi i due eventi hanno semplicemente convissuto, senza alcun sincretismo medievale. da una parte erano bambini allegri e pieni di caramelle, dall’altra era un’infinita teoria di lampade colorate che si inseguivano per tante delle strade della città. poi tutte le luci si sono incontrate intorno ai tanti templi buddisti. lì cosa è successo dopo non so, perché stavo dormendo dal ventesimo del secondo tempo.

dopo la partita ho rivisto una delle mie poche conoscenze coreane, la sosia di raffaela, che per comodità chiameremo
yana
. e mi è venuta un poco di nostalgia di raffa. ciao raffa, arrivo.

due lunedì dopo, il quindici, è la festa nazionale dei professori, il teacher’s day. verso le undici gli studenti mi hanno chiesto di andare alla celebrazione della giornata, che si stava tenendo in quei momenti all’ultimo piano, nella zona studio. io dico se proprio bisogna, ma in verità penso dai dai ragalo regalo. e allora siamo saliti nel sottotetto, che è il posto più bello di idas. appena ho raggiunto gli altri docenti della scuola, in mezzo allo spazio, tutti gli studenti intorno (diciamo un quarto degli iscritti) hanno intonato una canzone in coreano che canta il loro amore per i professori. e battevano le mani e sorridevano. che bello. che atroce. poi ci hanno dato i regali: una maschera di bellezza, una confezione principesca di te verde, due leccalecca. tornati in aula i ragazzi mi hanno fatto notare che i due lecca lecca non sono tali, bensì essi sono due preservativi colorati, con tanto di faccine sorridenti.

lo stesso giorno dei professori, ma nel pomeriggio, ho tenuto una lezione del ciclo design&business dell’università di hongik (pronuncia facile onghic, pronuncia bella ongic, pronuncia artistica onjec). il ciclo consiste in tre conferenze ripetute (sì tre volte la stessa conferenza, a tre uditori diversi). il tema è libero a scelta dai parlatori: c’è chi parla di design sostenibile, chi presenta nuovi trend del managment del design, chi annuncia l’imminente collasso della società, chi fa una panoramica mirata sul design europeo. un poco come quell’angolo del parco a londra, ma senza sedia: ciascuno tratta di uno degli argomenti che più gli stanno a cuore. io, che come sapete non ho cuore, e soprattutto non ho argomenti, ho intitolato la lezione players in urban environment e ho proposto l’analisi del rapporto tra il ruolo dei progettisti di calcio e il ruolo dei giocatori di architettura. dato che il pubblico non era erudito sui temi dell’architettura, il fatto di parlare di calcio a venti giorni dall’inizio dei mondiali del medesimo è sembrato fare breccia. alla fine c’è stato anche qualche timido battimano. sarebbe andata benissimo se non fosse che ripetere tre volte una lezione di due ore ti fa pensare alle cose che dici, e trovare ogni dettaglio incoerente (e ce ne sono a bizzeffe), nonché ti fa sentire chiuso in un circolo vizioso. ogni mattina ti svegli, bevi il tuo bicchierone di latte, ti prepari, vai a scuola, inizi la lezione, finisci la lezione, vai a mangiare, torni a casa, vai a letto. ogni mattina ti svegli, bevi il tuo bicchierone di latte, ti prepari, vai a scuola, inizi la lezione, finisci la lezione, vai a mangiare, torni a casa, vai a letto. ogni mattina ti svegli, bevi il tuo bicchierone di latte, ti prepari, vai a scuola, inizi la lezione, finisci la lezione, vai a mangiare, torni a casa, vai a letto.

un po’ come gli altri giorni. un po’ come gli altri giorni. un po’ come gli altri giorni.

alla prossima, davide


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