32 febbraio 2006
settimo giorno del nuovo calendario coreano,
primo fatto. ho iniziato a girare per i posti dove ci sono i locali notturni. avevo dimenticato la macchina foto e quindi niente immagini, per ora. comunque le sapete già, quelle strade con tutti i fili che passano da una casa all’altra, illuminati dalle mille e mille luci delle mille e mille insegne dei mille e mille locali. (così sembrano seimila, ma probabilmente sono di più). fino al terzo e quarto piano e oltre. non è che abbiamo fatto vita da sera, dato il secondo fatto (vedi dopo), ma almeno un’occhiata l’ho data. mi riprometto di passarci di nuovo. è stata una sorta di serata nostalgica (il sesto giorno? eh, la distanza fa questo ed altro) presenti i vari della combriccola italiana: marco (main host) simone (main host) cijé (che poi si scrive jihye ed è bella brava simpatica e generalessa, main host) fabrizio (toscano di follonica, idas professor) alessandro (sardo di cagliari, hongik professor). si mangia sul solito tavolo con il buco ed il braciere in mezzo, ma al posto della carnazza alla griglia c’è una pentola con il brodo di verdura e panetti di farina di pesce ed altro, piattini di salsine intorno, un vassoio con rotolini di manzo affettato fine fine che sembrava bresaola. prendi il rotolino, lo butti nel pentolone, aspetti trenta secondi che quocisca, lo riprendi, passata nelle salsine, boccone e via per l’altro rotolino di manzetto. fino alla fine dei rotolini. dopo rimane ancora del brodo e della verdura (un po’ di meno dell’inizio, perché mangiarne ne hai già mangiata). al che arriva il cameriere. ci chiede se vogliamo del riso a dei noodles. risponde marco. io decido di fidarmi, il manzo stavolta ce l’ho già nello stomaco. il cameriere va e il cameriere torna. porta in dono un piatto di noodles che sembrano freschi appena fatti e una stone da curling piena di brodo. versa il brodo nella pentola, versa i noodles nella pentola (un cameriere all’altro tavolo fa lo stesso, ma con il riso invece dei nudlz). poi si mette a cucinare. al tavolo. adorabile. dopo paghiamo salutiamo e andiamo a dormire. io non dormo tanto, perché domani è il grande giorno.
secondo fatto. mi sveglio alle sette. ma mi sono addormentato alle due. doccia e pantaloni quelli belli con le pences. (pensa un po’, neanche mauro berta...). la cintura. la giacchina da mao, ma non quella che tutti ricordate, una che sembra un po’ di più una blusetta di gins. e poi metropolitana da ap-pugion a chon-gru, poi fino a haye-wa (i nomi non è detto che siano totalmente sfasati). arrivo mezz’ora prima della lezione. la lezione è preparata, ma ancora non ho capito la metafora del leone del lupo e della lonza. sono emozionato. tutto ciò che non sai non serve. tutto ciò che non fai non ferve. non so se stare in piedi. o seduto. scrivo alla lavagna? apro le tende? sorrido? mi capiscono se parlo così veloce? (veloce?) questo lo ripeto. così è più chiaro. poi chiedo i loro nomi. no così non si capisce. li faccio scrivere in lettere come la madonna chiede. rido? domande? occhéi, sono pronto. vado.
è già finito.
mi guradano. hanno capito? hanno capito. e le domande: da dove vieni? anni? cosa ha fatto? (sono tutte cose che ho già detto, sia chiaro. ho disegnato anche i cinque cerchi. per essere chiaro ho scritto ‘terra dello short-track’). le domande si susseguono e mi sembra di ridire le stesse cose. forse non sono stato chiaro. no. me lo chiedono di nuovo. poi dico ci vediamo tutti quanti martedì davanti alla scuola che iniziamo la prima esercitazione. loro vanno. tutti tranne un paio di studenti ed il capoclasse. dev’essere che durante la lezione ne ho nominato uno, chi sa. si chiama choi. ci scambiamo la mail. mi fa notare che l’ho segnata alla lavagna. (mi volto, vedo un nugolo di segni che ho fatto e spicca cerchiato il mio nome, la traslitterazione in coreano, l’indirizzo mail, cinque cerchi). le altre studentesse rimaste (sono in tutto undici le donne) mi fermano ancora. le gurado. nessuna Collegiale tra di loro. mi chiedono per la terza volta cosa intendo per lost space. mi sembra chiaro. ma lo spiego un’altra volta. lo spazio perso è quello che un giorno ritroverai.
terzo fatto. torno in sala professori, la sala quella nuova per i due professori nuovi. siamo io e una tale che si chiama kim, come un terzo dei coreani. lei è nata in corea, e ha studiato negli states per dodici anni. è una graphic designer. ho un attacco di depressione post parto. cosa ci faccio io qui, nato nella periferia culturale e cresciuto ai giardinetti? mi giro verso il mio cubicolo, vedo la cartina di torino e la foto di archipendolo. chiedo loro scusa e sorrido.
quarto fatto. verso l’una fabrissio si affaccia dal fondo della sala e mi chiede se voglio andare a mangiare con loro. io sono già tornato in pieno nelle mie nuove scarpe da professore e dico aspettatemi giù, che finisco di scrivere questa mail e arrivo. chiudo google earths e campo minato e mi avvio. il cibo era la solita brodaglia vietnamita (buonissima). c’era anche un francese designer che lavora alla volvo truks era molto divertente e simpatico. ma essendo francese non mi ha detto il nome. tant’è. rimarrà anonimo al grande pubblico del blog. sì insomma. 'sto quarto fatto non è stato granché.
quinto fatto. ho già trovato il mio posto preferito. è un antico caffè al primo piano che si affaccia sulla grande strada. è antico in quanto ha quindici anni. l'aria torinese c’è tutta e anche quella luce così sbiadita brillante e grigia, che tanto mi mancava dopo le rutilanti olimpiadi. divani bassi e tavolini lignei. la musica classica. dentro solo gente di quindici anni fa. quasi mi commuovo. altro che lounge bar. un raggio di sole debole e polveroso mi accarezza e mi dà il benvenuto.
sesto fatto. tornato a casa con un taxi condiviso con hoosung mik, altro docente. finalmente in auto riusciamo a rompere l’ultimo tabù che mi rimaneva. finalmente lui mi racconta l’esperienza esaltante degli ultimi mondiali, quelli in korea (e giappone). quando tutta la gente scese per le strade, tutta rossa tutta impazzita per la gioia. io mi ricordo di quando bambino vidi passare il camion dipinto di verde, di bianco, di rosso, di azzurro. con la gente che gridava. gridava forza it~ gridava viva berlinguer viva il partito comunista italiano. nel 1982. avevo... cambio pensiero, mi sforzo. dico che i coreani avevano talmente tanta voglia di vincere che è stato giusto così. poi penso a moreno. poi penso a lupacrì che si alza con un cristo appena finita la partita. hoosung ammette che la pressione del pubblico probabilmente ha influenzato l’arbitro. il taxi arriva.
settimo fatto. arrivo a casa con in mente la canzone da stadio che i coreani stanno preparando per il prossimo mondiale. la danno alla televisione, mostrando il tifo che si organizza con tanto di cuffie per essere intonati. gli altri mi stanno aspettando con il pesce le bacchette e il riso. dopo, ormai come una routine, ma meglio di una routine perché è una dipendenza consapevole, risiko (estati, come ricordo battiato, passate a giocare a risiko sulla terrazza in sicilia). con un’azione di strategia raffinata e con tattiche di consumata esperienza finalmente faccio valere la forza e l’efficienza delle mie armate. il colore dei carri è rosso perché il sangue versato dalla eroica e fiera schiera non esalti il nemico. la totalità dell’asia e la totalità dell’africa sono presto in mano mia. il mondo intero si china al potere della purpurea razza.
ottavo fatto. mi sveglio con ancora nelle orecchie il clangore dei dadi. oggi vado a fare una passeggiata dalle parti di coex. coex è un centro commerciale a sud est del centro di seoul, grande come un isolato. questo al piano interrato. al primo piano e per decinaia di piani al di sopra di esso è decinaia di cose diverse, tra cui la borsa, il world trade center, una manata di alberghi, un terminal dell’aereoporto (con tanto di check-in in mezzo alla città), e c’è sicuramente anche qualcosa di più istituzionale dentro. insomma come bonino, murkajiee, patti e tabò, ma ancora di più. io sono stato in visita passeggera per un paio di ore; solo a camminare, intendo. cercavo anche la macchina foto, ma quella l’ho cercata più tardi con più convinzione. uscito da coex ho preso la metropolitana. non sono neanche uscito da coex, dato che è tutto collegato. certo che sapevo che esistono queste cose, ma non a torino.
nono fatto. sono sceso a konguk university, che è il campus dove c’è l’università dove insegna marco. che come certo ricorderete è il main host. nel senso che quasi sempre è l’ultima persona che vedo prima di andare a dormire e il primo essere che vedo quando mi sveglio. e viceversa. a honguk c’è un lago artificiale nel mezzo. mi sono fermato un po’ lì davanti a pensare e mangiare e riposare le stanche membra dopo tre ore di camminata. quand’ecco che alle spalle un rumore amico mi sussurra di voltarmi. un pallone! i coreani giocano a pallastrada! mi sono seduto con l'andi dell’osservatore internazionale e ho cominciato a fare i naturali paragoni. io dico che li spacchiamo. ho sorriso sornione nel sole tiepido. due ragazzi coreani in quel momento si sono appressati e con un inglese più stentato del mio mi hanno chiesto da dove vengo. ora io scrivo prima quello che ho pensato e poi quello che ho detto
>koreani: da dove vieni?
davide figo: da un sacco di posti diversi
davide vero: vengo dall’italia
>k: siamo cattolici
df: diufaus!
dv: io più o meno
>k: scusa?
df: ohmadonna!
dv: si, vengo da una nazione fondamentalmente cattolica
>k: sei studente?
df: sì
dv: no, eheh _dito sul ponte dell’occhiale_ sono professore di un’altra facoltà… _arrossisco_
>k: ah...
df: eh...
dv: eh...
>k: ah...
df: sapete cosa è il vero calcio?
dv: vi piace il calcio?
nono fatto e mezzo. domenica allo stadio di honguk l’atteso ritorno di antonio-musmo-cassano (copia non conforme all’originale) sui campi da gioco. scomparso dall’italia, sparito da madrid, rieccolo a seoul. alle diciotto ora locale, saranno le dieci in italia. ci vediamo su tuttosport di lunedì.
decimo fatto. poi ho incontrato marco, e siamo andati in uno dei paradisi dell’elettronica di seoul. il nome alla prossima puntata, forse. è semplicemente un palazzo di sei o sette piani di roba tecnologica. 280.000 kwon, che sono 240 € per una nikon abbastanza tascabile (mi pare che il nome sia s3, con 6 megapixel). la trattativa per un prezzo più basso si è arenata subito dopo che ho estratto la carta visaelectron. approfitto di questo spazio per chiedere ai tecnici tra gli ascoltatori se varrebbe la pena di tornare con i contanti e strappare un prezzo di 10 € in meno. oppure andare direttamente a cercare da qualche altra parte.
nono fatto e tre quarti. mi è arrivato un messaggio di buona notte da uno dei ragazzi che mi hanno invitato alla partita di domenica. dice >>hi divide i’m sejin --^^-- have a good night! #<<. aiuto.
alla prossima, davide
3 comments:
adesso mi asciugo le lacrime, chiudo il tuo blog e vado.
stasera si gira, ma non ti dico dove perchè non ha la metropolitana dentro. e nemmeno gli istituzionali che invece hanno la metropolitana dentro!
viva viva viva berzot
caro davide
ti scrivo per aggiornarti sugli avvenimenti più importanti che stanno avvenendo in Italia.
Tra questi il risultato del Festival di Sanremo. Ha vinto Povia, un cantautore milanese, che l'anno scorso aveva scritto la canzone "i bambini fanno oh".
La canzone di quest'anno si intitola "vorrei avere il becco" e questo è il testo:
Vorrei avere il becco
Per accontentarmi delle briciole
Concentrato e molto attento
Si, ma con la testa fra le nuvole
Capire i sentimenti quando nascono e quando muoiono
Perciò vorrei avere i sensi per sentire il pericolo
Se tutti quanti lo sanno ma hanno paura che l'amore è un inganno
Oh, ce l'ha fatta mia nonna per 50 anni con mio nonno in campagna
Più o meno come fa un piccione
Lo so che e brutto il paragone
Però vivrei con l'emozione
Di dare fiducia a chi mi tira il pane
Più o meno come fa un piccione l'amore sopra il cornicione
Ti starei vicino nei momenti di crisi
E lontano quando me lo chiedi
Dimmi che ci credi e che ti fidi
Un giorno avevo il vento che mi accompagnava su una tegola
A volte sono solo e mi spavento, cosa cì fanno due piccioni in una favola?
Se tutti quanti lo sanno ma hanno paura che l'amore è un inganno
Oh, me l'ha detto mia nonna
«Lo sai quante volte non pensavo a tuo nonno?»
Più o meno come fa un piccione
E mica come le persone che a causa dei particolari
Mandano per aria sogni e grandi amori
Camminerò come un piccione a piedi nudi sull'asfalto
Chi guida crede che mi mette sotto
Ma io con un salto all'ultimo momento
Volerò ma non troppo in alto
Perché il segreto è volare basso
E un piccione vola basso
Ma è per questo che ti fa un dispetto
Ma è per questo che anche io non lo sopporto
Noi però alla fine resteremo insieme
Più o meno come fa un piccione
L'amore sopra il cornicione
Ti starò vicino nei momenti di crisi
E lontano quando me lo chiedi
Dimmi che ci credi
Ci sveglieremo la mattina, due cuori sotto una campana
immagina una melodia simile a quella dei bambini (oh) e canticchiala come vuoi.
ti aspettiamo tanto
ciao
il tuo caro amico
Loris
Approfitto della nostalgia del sesto giorno solo per dirti che le foto del 28 dicembre ai Parrini sono...
Dammi l'indirizzo che te le mando!
(Quasi mi vergogno a scrivertelo sul blog, ma di queste foto non c'è un file. Sì, davvero: qui esistono ancora i rullini "rullini" e la posta che viaggia nelle buste di carta!)
flo
Post a Comment