20060426

Comunicato dall'estremo oriente #12

85 febbraio 2006
sessantesimo giorno del nuovo calendario coreano

comunicazione di servizio. è nato i 516.46 flickr. questa scelta risale ad una mia vecchia teoria. non vecchia in quanto non più valida, piuttosto antica in quanto radicata: se una foto vale mille parole, vuol dire che la foto banalizza il concetto. quindi per chi vuole oziare ecco qui le foto de i 516.46 flickr. bentornato nel mondo del *.txt a chi, come la pancia di simona, preferisce fare un poco di movimento della fantasia e immaginare me all’ingrasso, chiuso nella casa della mia mamma, a scrivere falsità millantando di essere a seoul. e questo solo per sottrarmi all’obbligo del voto.

questa mattina ho deciso di spolverare, confermare e affinare la mia teoria di seoul come grande città multimediastore. come già accennato vicino a casa ho la zona supermercato. c’è un dettaglio su cui non mi sono soffermato precedentemente. le varie zone mercatali hanno un loro punto di centro, in cui si può trovare il prodotto puro e scomposto. per esempio, se cerco ‘scarpe’, al centro della zona ‘scarpe’ troverò le scarpe e i pezzi per fare le scarpe; allontanandomi però in direzione della zona ‘tessuto’ si comincerà a trovare la scarpa di finto tessuto, la scarpa di cotone, il cotone per le scarpe, il finto tessuto calpestabile, il tessuto. la struttura della città può così essere ricostruita secondo delle centralità pure (bianco/nero), collegate da aree di periferie impure (grigi). in questo modo, l’apparente totale caos si regge in verità grazie una perfetta alchimia di ‘positivi’ e ‘negativi’ e ‘così-così’, un unico grande ‘nero%bianco’, o meglio, dato che le variabili non sono solo due, ma tante, ‘colore%colore%colore%...%colore’.appena ricevuta l’illuminazione psichedelica per la soluzione del grande problema ho deciso di mettere alla prova la teoria della matrice del colore.

da quando mi sono trasferito qui uso l’orologio che fu di mio nonno. lo uso qui e non lo usavo in italia, non so di preciso il perché (dev’essere qualche stupidaggine a riguardo delle radici della famiglia sicula). comunque, questo orologio da grossomodo sette anni aveva un problema: si era staccata la lancetta dei secondi. decido di applicare la formula magica. mi basta interpolare i dati: orologio, nonno, lancetta, svizzero, affetto, ferramenta, fabbro, sette anni, italia, amore. scarto i binomi impossibili (nonno-fabbro, perché il nonno era calzolaio; affetto-svizzero, perché di qui viene distante; setteanni-amore perché ho già pianto troppo per carla ricci; italia-lancetta perché mi fa venire in mente gladio). mi indirizzo nella zona colorata percentuale di orologi e percentuale di ferramenta. e lì, piccolo come i fratellini di firenze, sta l’uomo dell’orologio: lo guarda, sorride, lo smonta completamente, lo pulisce, lo aggiusta, lo rimonta. in dieci minuti e tre mila won. in soverchio adesso l'orologio perde cinque minuti all’ora. poi ho riattraversato le zone orologi, orologi a molla, elastici, pantacollant, tessuti, grembiuli, impermeabili, pesce, ponte sul fiume, natural born killer, sale matrimonio, teatro, scuola. come zuzzurro e gaspare al drive in, solo dal vivo.

a scuola uno studente del corso di digital media, totalmente fuori dalle logiche della domenica sera di italia1, mi ha fatto una domanda. perché frequentiamo questo corso se non ci insegna alcun programma per il computer? (ho deglutito e sono uscito dalla classe in lacrime, tremante e con i pugni alzati a questo maledetto cielo giallo. poi più tranquillo sono rientrato in aula e) ho cominciato lo spiegone sul ruolo della morte nella poesia, sul ruolo della poesia nella morte, sul ruolo della cucina nella letteratura contemporanea e sulla grande divisione tra materia che dà gli strumenti e materia che li utilizza. ho detto che il corso di cervello lo avevano già frequentato il semestre scorso. li ho guardati tutti e uno per uno. poi ho detto. o con me o contro di me. o con me o dassoli. o con me o la torta me la mangio tutta io. sembra ‘per un pugno di dollari’, ma è molto più ‘lo chiamavano trinità’. che comunque, massimo rispetto. un paio di ore dopo la lezione mi arriva un messaggio sul telefono **thank you professor ^--^ now it is much more clear ^0^ sorry i was so bad***. faccio un giro al saloon a salutare gli amici del bancone e mi dirigo infine verso la piscina. sì perché poi le piscine in corea ci sono, anche se lì devo separarmi dal mio fido revolvero.

iscrivermi alla piscina non è stato semplice, e per la prima volta ho capito cosa vuole dire quando si parlano veramente lingue differenti. per quaranta mila won dapprima potevo andare a fare la doccia in casa della segretaria della piscina; in seguito dovevo potare gli alberi del giardino; poi invece non c’era più la piscina, ma un maxi schermo con la proiezioni delle gare di tuffi femminili, con birra e divano; un’altra possibilità, lucidare tutti i mancorrenti in acciaio inox della balconata della sala. poi tutti gli ingressi per tutta la settimana, ma solo alle otto.
qui leggo (leggo è parola forte) che si può anche alle sette.
no alle sette non c’è.
allora dopo pranzo.
no dopo pranzo ci viene mia cugina.
appunto.
appunto.
insomma vada per le otto, ingressi per tutti i giorni tutte le settimane del mese. alle otto meno un quarto, con la puntualità deviata che mi contraddistingue, e supportato dall’orologio del nonno che segna le tre e ottantacinque (ma con i secondi), facendomi scudo con i lardominali scolpiti e con il mutandone ascellare della speedo, faccio ingresso nella sala dell’acqua. senza occhiali vedo omini sfocati che si tuffano con ritmo e elasticità, al grido ritmato ed elastico (-he-hoo-he-hoo-he-hoo-) di un altro ometto sfocato (però si capisce lo stesso che egli ha un sacco di muscoli). mi avvicino alla coda di tuffatori e faccio per chiedere qual è la corsia per il nuoto libero. indicano il muscoloso gridatore e allora a lui faccio la domanda completa qual è la corsia del nuoto libero. lui dice free? io dico che c’è claudia nel mio cuore, che in più ha dei pettorali più morbidi. lui dice non qui, quelle corsie in ombra laggiù. io faccio per avviarmi e lui dice non ora, che sono le otto meno cinque. sento una musica no non ora non qui, no non ora non qui. ah sì certo certo. controllo il mio orologio e sono le due e ventidodici. mi metto nell’angolo vicino alla mia corsia e aspetto, guardando i tuffatori che si tuffano, fanno tutta la vasca a farfalla, escono dall’altra parte. poi si tuffano, fanno di nuovo tutta la vasca a farfalla e escono dall’altra parte. poi si tuffano, fanno di nuovo tutta la vasca a farfalla e escono dall’altra parte. poi si tuffano, si mettono uno dietro all’altro, in cerchio (mi vengono in mente immagini da inferno dantesco, dev’essere il cloro), e si fanno i massaggi per le spalle e per la schiena, vicendevolmente. poi escono e se ne vanno. capisco che è il mio momento, mi avvicino alla corsia in ombra e mi tuffo, agile come un leone di mare. decido di fare come il mio solito, iniziare con una quarantina di vasche di riscaldamento e solo dopo scendere sotto il minuto per i cento metri sile libero. magari la prossima settimana punto al primato mondiale. alla seconda vasca mi sento toccare sulla spalla. mi fermo e mi giro contrariato. io non lo voglio il massaggio del sodomita. è l’omino sfocato e muscoloso che mi sorride che non posso nuotare prima della ginnastica.
scusi, buonuomo? sì prima della ginnastica. no guardi si sbaglia. no guarda tutti fanno stretching prima di andare in acqua. mi guardo intorno. mi rendo conto che sono l’unico in corsia, sono l’unico in acqua, tutti sono intorno alla vasca in posizione per cominciare l’esercizio di riscaldamento guidati dall’istruttore. tutti mi stanno guardando. mormoro non vi dovete preoccupare per me. allora l’omino si fa serio. mi guarda dritto negli occhi. mi dice

it’s dangerous!
mi rassegno. esco dalla vasca e mi avvio verso l’unico anello libero nella grande catena di occhi a mandorla. comincia la musica i'm a barbie girl in a barbie world. dissolvenza sfocata in cloro.


alla prossima, davide

jeqcxmg

20060408

Comunicato dall'estremo oriente #11

67 febbraio 2006
quarantesimoquinto giorno del nuovo calendario coreano

in corea ci sono i muri. intendo muri muri. e quindi i muri di mattoni di pietre di filo spinato; i muri di vetro. i muri che sono un salto in alto o quelli che sono un salto in basso. poi ci sono i muri che sono le frontiere. e quindi i muri a nord che si stanno piano piano sbriciolando da soli, i muri a oriente che sono stati sbriciolati da tempo e da altri, i muri verso occidente che sono pieni di buchi per vederci attraverso. poi ci sono i muri culturali. e tutti li provano a scavalcare, e in questo è bello l’ambiente che mi sembra di vivere, dove io tento di mangiare con le bacchette e loro mi chiedono di andare a mangiare la pizza. c’è da chiedersi cosa succederà quando, finito di scavalcare ognuno il proprio muro, ci si ritroverà ciascuno nel terreno che era dell’altro.

tanto tempo fa andavo per la prima volta a londra, con paolo. roba di quindici anni fa. e lì sugli autobus c’erano delle frasi che un po’ dicevano di pagare il biglietto (se un uomo in questo autobus fosse colto nel non pagare il biglietto, lo guarderesti in faccia?), un po’ facevano la pubblicità al film su jim morrison e i doors: ci sono cose known e cose unknown. in mezzo ci sono le doors (grazie paolo). in corea ci sono anche i buchi.

questo è uno di quei tipici negozi coreani in cui quando entri ti guardano come se arrivassi dall’altra parte del mondo e che in conseguenza di ciò ti trattano. mi dà l’idea comunque che trattino con gentilezza anche gli autoctoni. è anche uno di quei negozi coreani che ce ne erano tanti anche in italia, dentro c’è un vecchino o una vecchina e puoi comprare quello che desideri: dal cucchiaio all’automobile alle sigarette al salame al burro a un bicchiere di vino a una partita di carte sotto la pergola (lo so che in italia ce ne sono ancora, magari nei paesi magari a cantoira magari drappero).

questo è invece il cortile che sta a fianco di IDAS, che come ormai saprete tutti è la scuola dove mi occorre di insegnare. alla sinistra l’ingresso al palazzo (intravvedete postmodernismi decorativi della finestra della scala), alla destra il laboratorio modelli. al centro del cortile due panchine in stile internazionale, una serie di stentanti primavere, la moto di uno degli studenti.

avvicinandovi apprezzate il modello di motociclo (una sorta di riproduzione di chopper giapponesi, che a loro volta riproducono con sguardo sottile il mito oltreoceanico delle traversate transcontinentali). gli spazi angusti e risicati dove si prepara l’esplosione della natura. le tettoie, insieme sempre troppo lunghe e sempre troppo corte per coprire gli spazi tra un palazzo e un muro. e appunto il muro di confine dello striminzito cortile. fa capolino da dietro il sipario di cerata blu una sedia di plastica bianca.

ma immaginate di avvicinarvi ancora, di percorrere lo stentato sentiero di terra battuta e di salire sulla sedia. siate ormai con il volto all’altezza di uno dei buchi coreani, stretto tra una tettoia e un muro di pietra. e allora suonate il campanello che sta sullo stipite. dopo poco la voce di una vecchina o di un vecchino dirà qualcosa che non capite. non badateci; voi chiedete quello che desiderate.

l’unico altro modo che mi viene in mente per vedere realizzati i sogni sognando che si realizzino è votare.

alla prossima, davide

sgaepwy

20060401

Comunicato dall'estremo oriente #10

60 febbraio 2006
trentesimoottavo giorno del nuovo calendario coreano

oggi ha piovuto tutto il giorno. mi dicono che è l’estate che è così. ma cosa ci fa l’estate a febbraio? comunque. dalla torre di est nulla si vede apparire all’orizzonte. direi meglio è l’orizzonte che un poco sparisce giusto poco dopo il vetro della finestra. continuiamo la navigazione a vista, anche se il pericolo di icebergz aumenta con il sopraggiungere della brutta stagione. colonna sonora by this river brian eno.

la pasta. dopo il primo stipendio ho sentito che era giunto il momento di cedere alla tentazione. sono entrato in un supermercato e ho comprato tutto il necessario per farmi la pasta. non c’era la passata p’a pummarola n’coppa. non c’era lo scolapasta. non c’era lo spaghetto e non c’era alcuna tipologia di pasta. e allora ho capito che è stupido guardare ad occidente per le proprie radici, quando la cultura della cucina dove vivi è tanto più forte, è inutile cercare posti per l’ancora quando sei nel mare aperto. ho preso dei pomodori, una retina per la frittura e dei noodles freschi. è così che nasce la cucina fusion, no? sennonché in italia è normale avere qualsivoglia tipologia di sale nella credenza. in corea niente sale, ancora grazie che se trovi dove è messa la credenza. la nonna era molto religiosa aveva una grande e forte credenza in cucina piena di ogni ben di dio. (non è mia arriva da bruno munari). non è che i noodles senza sale facciano proprio schifo, vah.
musica da strada. al di là della strada dove abito c’è un bar o un locale o una casa per appuntamenti (chessò, è al di là della strada…) chea qualsiasi ora del giorno e della notte emette musica in strada. tipo una filodiffusione dell’incrocio. a volte è vivaldi, a volte è maicol giecson, a volte è madonna. uno ci si affeziona a certe cose, si fa anche delle piccole scommesse, uscendo o rientrando. ci saranno le spaisgirl o leonard cohen? un ardito keith jarrett a colonia o i culture club? tornando a casa già pregusto l’antica tradizione dei noodles all’amatriciana, carico della prima spesona (anche un tagliere una padella le uova i succhi di arancia e altre amenità), svolto l’angolo affaticato ma tutto teso nell’udire quale propizio per la prima cena dopo il giorno di paga? il ballo del qua qua romina power. con tutto quello che si dice della cultura italiana nel mondo.
i megastore. il giorno successivo, con ancora l’ultimo noodle crudo metà al di qua e metà al di là del piloro, mi reco in uno di quei megastore di cui tanto ho sentito parlare. una sorta di rinascente, ma tante insieme e in coreano. per primo sono andato a lotte. credo che lotte sia una di quelle famiglie corporation che producono tutto, dal biscotto al palazzo. è pieno qui di queste corporation; mi sto informando, ne parlerò un’altra volta. insomma questo, tra i vari megastore, è quello del lusso. dentro ci torvi gucci fendi cartier e via così. e il lusso arriva fino al bocchettone dell’antincendio, che sembra d’oro ma è solo di ottone.


sono arrivato alle dieci e non era ancora aperto. allora sono andato a comperare un libro lì vicino che c’è una libreria immensa (della stessa catena di quella del grattacielo di botta). tornato, noto che stava proprio per aprire. ma attenzione al colpo di scena. tutti gli addetti alla vendita erano schierati davanti al banco e salutavano con un inchino tutti i clienti che passavano loro di fronte. dagli altoparlanti veniva una musica trionfale, tipo l’inno nazionale (o quello della famiglia del megastore, quale la differenza?). sono rimasti impettiti (o chini a seconda) per più o meno cinque minuti. poi sono tornati alle proprie cose, tipo mettere in ordine, pulire a specchio i pavimenti e le vetrine, accalappiare i clienti. sono uscito quasi subito e mi sono indirizzato al megastore hyundai (sì credo che sia quello che fa anche le automobili); perché laggiù avevo appuntamento con marco. seoul non avendo indirizzi ed essendo oltremodo estesa, di solito ci si dà appuntamento facendo riferimento a land-mark postmoderni. tipo i macdonald, i negozi degli stilisti, le uscite della metropolitana,


e appunto i megastore. questo senza dubbio accenderà una lampadina in tutte le menti socio-geografiche all’ascolto, come d'altronde l’ha accesa nella mia. comunque sono arrivato come mio solito in anticipo. sono entrato nel megastore. ne sono uscito in orario con un paio di scarpe da trekking appena acquistate. e qui le lampadine che si accendono sembrano la corona della santa nella processione di zafferana etnea.
le tombe. per dare un utilizzo alle scarpe nuove ho deciso di andare a fare una passeggiata tra i boschi che circondano la città. dopo un’ora tra metro e bus mi trovo ancora nel territorio comunale e sono di fronte all’inizio della camminata. ancora la primavera non è esplosa, ma l’aria comincia ad essere tiepida. dopo venti minuti mi ritrovo in una radura (dopo un bosco c’è sempre una radura) costellata di lapidi. è una serie di tombe. io penso che è bello che il cimitero sia in mezzo al bosco. in più constato che (come mi avevano detto) la testa del defunto è sempre rivolta a nord.


continuo nella passeggiata per un’altra mezzora. e incredibile dictu, superato un masso, comincio a sentire nell’aria della valle la famosa pubblicità della victor respira vivo (quella dove un monaco buddista che ha la tosse mangia una caramella e comincia a cantare). decido (e come no?) di procedere fino al monastero. dopo altri trenta minuti sono lì. il racconto è semplice perché semplici sono i fatti. ma quanto è buddista ‘sta frase!


i palazzi con la punta. c’è una legge nell’urbanistica di seoul (ma anche in certe metropoli americane, se ne parla diffusamente in delirious new york del mio amico rem) per cui la volumetria dei palazzi deve diminuire con l’aumentare dei piani fuori terra. questa disposizione permette alla luce del sole di arrivare almeno per alcune ore del giorno a illuminare le strade. così sembra che ci sia più cielo anche al piano terra; vicino al caffé della polvere ho trovato questo.


lezione. gli studenti mi hanno chiesto di fare una presentazione dei miei lavori. io per me non ci tenevo; ma loro sì. ho impostato la cosa un poco sul gossip intorno alle persone con cui ho vissuto e collaborato. quindi se vi capita di venire a seoul e di essere riconosciuti, sapete il perché. per essere chiari, questa è l’immagine su cui ho basato un terzo del discorso. (colgo l'occasione di rigraziare fracesca e i suoi consigli)


di più, se non ci state ad essere esclusi, e se volete essere partecipi della prossima, mandate immagini di voi. per la precisione me ne servirebbe una dai campi di calcetto del mercoledì e del sabato (serio).
la prima cena. dopo il grande successo della lezione, gli studenti si sono sentiti di potermi invitare a bere alla sera. ed ecco la prima immagine della scolaresca.


una cosa mi ha inquietato. a metà serata è partita l’indianata. chi sbaglia beve un bicchiere di soju. che è una sorta di vodka calda, ma più buona della vodka calda. in pratica si sono tutti messi a cantare sottovoce una strana nenia tipo cincinguri cia cia cincinguri cia cia cincinguri cia cia cincinguri cia cia (per chi volesse ho anche un video). e poi uno dice un numero e comincia il giro e a turno si dice cia cia oppure miss fino a che si sono detti abbastanza cia cia quanto il numero detto. e poi tutti alzano le mani urlando alalà e si ricomincia. non notate anche voi una inquietante somiglianza con il ballo del qua qua?
pensieri. la sera è calata e persiste la pioggia. disegno i mobili per la stanza della mia torre, ma è solo per finta. la mente e lo stomaco sono già a martedì mattina, alla diretta del confronto tra pro-dee kim e bel-hoo chon.

ho scritto tutto questo nel giorno che nel vecchio calendario europeo è detto il primo aprile. quale delle notizie precedenti è uno scherzo?

alla prossima, davide

kkmafot