20061226
Branding life
Lotte è una compagnia coreana che diversifica le proprie attività in modo scoordinato e allo stesso tempo totalizzante: costruisce giganteschi centri residenziali, gestisce altrettanto enormi department store, prepara assortiti dolciumi. (Tra parentesi, Lotte non è la sola diversificata compulsoria; Hyundai costruisce automobili e grattacieli di appartamenti, Samsung assembla computer, quartieri e linee di abbigliamento, SK fa telefoni e vende benzina, Daelim vende moto e cessi).
In Corea gli indirizzi ci sono, ma nessuno li usa. I coreani usano i landmark.
Ci si incontra normalmente all’uscita numerata di una stazione della metropolitana numerata.
Ma una più frequentata forma di riferimento di luogo è l’ente edificio. È abitudine darsi appuntamento all’ingresso di tal o talaltro palazzo, dalle dimensioni fisiche importanti: questo palazzo è tradizionalmente (?) un department store.
Quello che risulta dalla combinazione di necessità di landmark e dalla companizzazione del suddetto, è un potenziale landbranding. 'Ci vediamo al Lotte' intendendo il department store a Myondong, è frase comune. E prego di apprezzare la differenza dal nostrano ‘Ci vediamo di fronte alla Feltrinelli’. Primo perché al Lotte department store e ti ci trovi all’interno; secondo al Lotte ci vai con l’intento di rimanerci una vita, passeggiando tra fastfood (di nome Lotteria), negozi Louis Vuitton e Gucci, ristornati, caffetterie, cinema, palestre e dutyfree.
Presupponendo che, una volta stanco, tornerai a casa al Lotte Castle.
Il settore dolciumi di Lotte ha inventato una particolare versione dei mikado, e li ha chiamati Pepero. Poi ha preso una data, l’ha dichiarata il giorno degli innamorati e l’ha rinominata il Pepero Day. La data è l’undici novembre, e si scrive 1111, come quattro bastoncini affiancati.
come annunciato nel cablogramma #2, questo post è stato pubblicato in blurb, per la rubrica so long and thanks for all the fish.
alla prossima, davide
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20061115
Total Recall
Utile sapere che in tali occasioni, se l'obbiettivo è la firma di un qualsivoglia contratto, tappa finale ed obbligata è la sbronza colossale e collettiva. Non c'è accordo che venga siglato con mano sobria e non annebbiata dai fumi dell'alcool. E come si sa, dove nasce la domanda il mercato ha già la risposta.

Il buon medico Jong Hyun Nam, è l'inventore di 'iomion 808', il magico prodotto che rende inutile il richiamino del giorno dopo.
Presto l'invasione dei mercati occidentali. Non vedo l'ora.
come annunciato nel cablogramma #2, questo post è stato pubblicato in blurb, per la rubrica so long and thanks for all the fish.
alla prossima, davide
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20061101
Annunciaziò #1
primo giorno dopo leo
è nato leo, il figlio di sabina e marcus.
sabina è la sorella de la svizzera.
da oggi mi sento un poco più lo zio di corea.
alla prossima, davide
bjvaznhk
effyq
20061025
Comunicato dall'estremo oriente #17
centosettantesimo quinto giorno del nuovo calendario coreano
gentili.
non farò finta che non siano passati svariati mesi e che le variazioni di comunicato, vedi dispaccio cablogramma cartolina sussurro e via di sventolio di mano ‘guardate che sono qui non mi dimenticate’, erano solo un ricordatore, un sì sì adesso vi comunico. non e’ che non ci sono cose che succedono. ma a volte ci sono cose che succedono e sono grandi e poi pensi che comunico a fare, tanto non mi ascoltano. poi mi sentivo in colpa perché, in seguito a cose più grandi che succedono, anche in europa, durante le mie brevi vacanze estive non sono stato praticamente piu’ di una serata con la maggiorparte di voi. ma io sì che volevo vedervi e che volevo sentire le vostre storie, volevo.
insomma.
come excusatio non petita mi pare che sia abbastanza.
che sono arrivato e come sono arrivato forse lo sapete già, forse lo avete letto e non ve lo ricordate, forse lo avete letto e avete pensato questo qui parla una lingua strana. che per altro è vero e questo incipit sta e lo dimostra.
segue riassunto comprensibile.
riassunto comprensibile: all’atterraggio dopo il viaggio seoul zurigo mi sono sentito straniero, all’atterraggio dopo il viaggio zurigo seoul mi sono sentito straniero.
nel cablogramma tralasciavo tutte le emozioni private, il fatto che claudia non mi abbia riconosciuto all’aeroporto; le ore passate a indagare quale delle due lingue mi e’ meno comprensibile, il coreano o il tedesco; la lacrima superveloce sul tav milano-torino, mia mamma che mi accoglie con la pasta broccoli e salsiccia alla fine di giugno (altro che guaiti, argo è morto troppe migliaia di anni fa), le solite mille cose non dette con raffaela (e pensa se ce le dicessimo…), andare sui gokart con nicola, vari bagni nei fiumi e nei laghi d'oltralpe, la sicilia, la sicilia, la sicilia, e poi inseguire gli ultimi momenti svizzeri, no, jetz ein moment bitte, oh, babe, i hate to go.
sono rientrato pieno di propositi fondamentali per la mia vita e la mia professionalità.
prima di tutto l’acquisto della motoretta. questa per favore stralciatela dalla copia che date alla mia mamma.
un posto, due ruote (quasi tre, ché quella dietro è grossa), quattro valvole, cinque marce, cento all’ora (di calata e ccu ventu a‘ffavori) per tornare dalla bimba mia, centoventicique cc. si chiama troy, ed è la mia moto da marciapiede. è rossa. dite pure quello che volete, quello è il suo nome, e tutte le vostre malignità non scalfiranno il nostro rapporto basato fondamentalmente sull’amore, quello con la lancetta maiuscola.
questo, per la verità è bastato ed avanzato per farmi cambiare la percezione di seoul: quella che era fino ad allora una costellazione di punti uniti da linee sotterranee di metropolitana, sta prendendo mano mano forma, come una sana triangolazione richiede; e io comincio a colorare le aree. la percentuale di smarrimenti è ancora alta in modo preoccupante, ma il dato tendenziale indica che in un eventuale secondo mandato il nostro (cioè io) sarà in grado di orientarsi come uno scout nelle foreste svizzere. in caso di mancato secondo mandato venite a cercarmi nelle suddette foreste, vestirò di pelli di bernese e mi ciberò di bacche al gusto di emmenthal.
mi riconoscerete, nella massa di traditi dal sogno orientale, per il mio pianto sommesso e per la attiva mitopoiesi sull’attraversare i ponti che da sud scavalcano il fiume verso downtown, il vedere le colline di palazzoni che femminee ti vengono incontro, e nascondono la serie di sopraelevate e di profondi ed accoglienti tunnel. se avete in mente l’arrivo a barcellona in ‘tutto su mia madre’, avete anche i brividi giù per la schiena e la pelle di gallina sulle braccia. se avete presente il concepimento in bianco e nero in ‘parla con lei’ va bene lo stesso.
il quattordici settembre, ma potrebbe essere anche il quindici, ma in fondo chissenefrega. insomma è arrivata barbara. barbara non è quella barbara che molti di voi hanno presente. barbara (detta a sua insaputa anche donkas, in quanto milanese, vel la lambretta, in quanto lambratina) studia nell’università confuciana che è vicino ad idas; è a seoul per uno scambio, e mi pare anche una cosa coerente che se in italia studi alla cattolica, in corea studi alla confuciana. non so se la frase ha senso, comunque fa la sua porca figura, così incastonata. sa di giudizio suggerito e non dato, una cosa tra bruno vespa e enzo biagi. che vuol dire niente e tutto. nell’ordine. insomma. 'sta qui è arrivata. ogni tanto ci si vede, e per me sono sempre bei momenti di vita coreana, venati dal suo allegro cinismo lombardo. non so se posso dirlo di una milanese, ma mi sembra che noi si possa diventare amici.
il quattordici settembre, ma potrebbe essere anche il quindici, ma in fondo chissenefrega. insomma è arrivato luca. luca è quel luca che molti di voi hanno presente, ma non è il luca di blurb. luca (that one with a little perm) ed io ci conosciamo da un tempo indescrivibile (mento, era gennaio 1996, via cosmo 9), e le nostre vite non si sono mai cercate; eppure, non si sa come e non si sa perché, hanno corso e corrono tutt’ora in modo incredibilmente parallelo. e adesso che è qui ogni tanto ci vediamo e passiamo il tempo a raccontarci di tutte le magagne coreane e torinesi, pregni del nostro allegro cinismo piemontese. non so se posso dirlo di un torinese, ma mi sembra che noi si possa diventare amici, finalmente.
barbara e luca sono arrivati con lo stesso aereo, ed insieme è atterrato un bel tempo, sia nel senso meteorologico, sia nell’altro.
pochi giorni dopo claudia si è laureata. io, pensando che in fondo non mi avesse riconosciuto a giugno perché ero diventato troppo bello per i suoi ricordi, sono atterrato di nuovo da lei. e di nuovo non mi ha riconosciuto, ma stavolta perché avevo una parrucca di capelli lunghi e neri. poi, carico di nuovo di sensazioni da straniero sono rientrato a casa, e stavolta casa era seoul.
ormai era inizio ottobre, e ad inizio ottobre la corea si ferma per una settimana. è chuseok: in una rara e perfetta riproduzione del giorno del ringraziamento americano, i coreani si chiudono in casa e preparano (gli esseri femmine) e mangiano (gli uomini) per cinque giorni. questo è il concetto principe, anche se sono ammesse delle variazioni: non stiamo in casa e andiamo a chiuderci in un albergo (fatta salva la gran mangiata). le troy hanno ben altre abitudini, e la mia nel particolare ha deciso di celebrare i suoi primi mille chilometri al mare. il mare del nord est. siamo partiti la mattina del lunedì al grido ‘fuori da seoul’, direzione far east; superata la prima ora di traffico si è svelato davanti alla nostra ruota anteriore un inaspettato paesaggio di curve e foreste, che in pratica non ci ha abbandonato fino a quando la corea non è finita nel mar del giappone. ci sono voluti due giorni di viaggio, ma ne è valsa la pena. anche perché la strada ad oriente (route 46, non proprio 66, ma si fa quel che si può) mi ha portato innanzitutto al confine nord, dove l’aere è più profumato di bomba atomica. la sensazione di avvicinarsi verso un bordo del mondo occidentale (il bordo qui si trova verso nord) mi ricordava le passeggiate di un paio di estati fa tra le trincee dell’interno della croazia; al di là delle facili ironie, metteva un brivido di quiete dopo la tempesta. o prima. anche se alla fine non sono riuscito effettivamente ad attraversare il confine (non tanto per la crisi nucleare ancora da venire, quanto proprio non è possibile), i piccoli scorci delle montagne e delle foreste che mi occhieggiavano al di là della zona demilitarizzata che divide le due coree; quei piccoli e sfuggevoli sguardi mi chiamavano come il canto delle sirene di ulisse. per fortuna ero incatenato alla mia fedele troy, ed il cerume nelle orecchie non mi è mai mancato da quella volta che mia madre mi ha trovato dentro l’orecchio destro un proiettile di gomma della pistola ad aria compressa verde di mio fratello. insomma la nord corea mi affascina. non fosse per la condoleeza pianificherei un giro turistico. alla luce degli ultimi fatti ho pensato di fare così: aspetto.
poi sono arrivato al mare, pensavo al mare di inverno, e invece c’era il mare di autunno. i coreani si vantano di essere una nazione che ha quattro stagioni (inverno freddissimo, primavera temperata, estate pioggia, autunno tempo bello precipitazioni di tempi belli). insomma il mare era caldo, tanto. meduse delle dimensioni di piccole balenottere boccheggiavano incagliate sulla spiaggia. mi guardavano lussuriose dei loro colori violetti chiedendomi di girarle sull’altro lato. ho guardato e sono passato. ero di stanza in uno yeogwan (il nome magari non è proprio questo, ma ditemi: ha davvero senso controllarne l’esattezza?). è un bed&breakfast coreano, un po’ più ciulodromo, ma non come le mansarde di vianizzatré. fatto sta che non prevedendo un pernotto tradizionale, non c’è altra illuminazione se non l’amichevole neon-plafone in centrovolta e la televisione. non particolarmente adatto per il nostro novello cheruac in vena di lettura pre-notturna. e allora mi sono alzato e sono andato in cerca di una caffetteria dove sedere, prendere un tea e leggere. daejin è un paese di pescatori ed essiccatori di seppie. gente che lavora, non come quei debosciati delle grandi città. c’è solo un coffee-shop, sono entrato. quello che nella guida non viene detto, ma che mi ha confermato prontamente tucson kim (professore coreano grande tiratore dei fili ingarbugliati della scuola) è che il coffee-shop è tradizionalmente condotto da donne in avanzato stato di età, ed è frequentato da uomini in altrettanto avanzato stato di età; le une offrono le proprie grazie di compagnia, gli altri normalmente le accettano. devo confessare che la signora almeno cinquantenne che mi ha offerto il caffé (io volevo un tea, ma il tea no non te lo dò), e che di seguito si è gentilmente seduta in fronte a me con un sorriso e con pochi sottintesi, ha capito abbastanza in fretta (dal mio improvviso rossore?) che io lì ero in cerca di nient’altro che un buon posto dove andare avanti nella lettura del mio buon libro: si è alzata e si è dedicata all’altro avventore.
per la cronaca, il libro era la biografia di un tossicodipendente (no, non è la storia di lapo raccontata dal padre).
il sonno è arrivato e la mattina mi sono svegliato presto.
è in quel momento che l’ho visto. il più bel postodella corea. è un molo che è stato costruito da pochi anni. su fili che corro da un bastone di legno ad un altro, i pescatori stendono le seppie (hoginnò) a seccare. le seppie penzolano da mattina a sera, da prima dell’alba a dopo il tramonto. e durante il giorno si tingono tutti i colori del sole, e si profumano di tutte le arie del mare. se potessimo trattenere in ogni cosa una briciola della poesia di quelle seppie essiccanti, il mondo sarebbe migliore.
la settimana successiva, a scuola, c’è stato il workshop del semestre autunnale. quest’anno sono venuti due danesi, uno della bang&olufsen, l’altro di un giovane studio di design. il workshop ha un fondo di didattica, ma sostanzialmente vive dello spirito di competizione che si instaura tra i vari team di studenti. ogni professore è supervisore di un team. non vi dico chi ha vinto. però la scuola torinese ha portato a casa primo e secondo posto, una splendida doppietta tutta granata.
sull’onda del successo, lo scorso sabato si è aperta l’edizione coreana di torinodesign. notabili la presenza delle uova-nido di cesario carena, gummy di elasticodisegno, e soprattutto l’etichetta 50vendemmie di raffaela (e adcontent ;-). ma quella che veramente ha spiccato, offuscando tutta l’esibizione, è stata la presenza del nuovo ambasciatore italiano e il suo discorso introduttivo.
adesso io taccio, ché magari in qualche modo le notizie potrebbero filtrare fino alle orecchie dell’ambasciata. mi affido all’intelligente lettore, che saprà capire la mia reticenza. e passo al paragrafo successivo: chi ha orecchie per intendere, intenda.
en passant, stralciate anche questo per la mia mamma. e anche per il papà. fate così, continuate a dire che davide non scrive più.
la giornata, pregna ancora delle emozioni e dei discorsi introduttivi alla mostra, si è conclusa al trance.
le minoranze nella società coreana sono ben accette. purché rimangano ghettizzate in ben determinati recinti, generalmente nei pressi di itaewon. il trance si trova nel recinto gay. alle due e mezza della notte del sabato, al trance, c’è lo spettacolo delle dragqueen. io prima di venire in corea non avevo mai visto uno spettacolo di transgender e non so quanti di voi li abbiano mai visti. a parte barbara, intendo. non è questione di avere queste preferenze sessuali o quelle là, di stare bene nella propria sessualità o no, e via banalità dicendo. qui è questione di pura arte teatrale. io rimango orgogliosamente eterosessuale (digiamo), ma quello che ho visto sabato è stato uno spettacolo emozionante. e il sabato precedente ancora di più. chissà sabato prossimo...
al fianco di questo, ho incontrato la donna dei miei sogni (ça va sans dire dopo raffaela e barbara): nel momento in cui confessavo, pavonazzo in volto, ‘mi piace quella là’, la lambretta ha lapidato con sintesi mirabile: ‘chi, la lesbicona?’.
per adesso mi godo la realtà, che di gran lunga batte i sogni.
alla prossima, davide
20061020
L'erba del vicino
La DMZ, DeMilitarized Zone, è una striscia di due chilometri di larghezza che corre lungo tutto il bordo tra Nord e Sud Corea.
A nord e a sud della DMZ campeggiano dei cartelli che declamano quanto si sta meglio nei rispettivi lati. A nord non so, ma a sud della DMZ ci sono le strade asfaltate della civiltà. Capita a volte di incontrare, nei pressi dei confini della DMZ (avere non un solo limite, ma anche il limite del limite è una di quelle ridondanze che sintetizzano il fondamentale spirito rococò del pensiero sud-coreano). In queste strade capita a volte di incontrare blocchi di cemento in bilico ai lati della carreggiata. Una semplice piccola esplosione ne può alterare l'equilibrio e farli rotolare in mezzo alla strada, bloccando il passaggio ai mezzi di invasione nordici.
A volte questi blocchi recano dei messaggi rassicuranti, del tipo ‘benvenuti nella regione di Kangwondo’.
Altre volte i blocchi non sono disposti lateralmente, ma sono piccoli ponti a cavallo della strada, minati In modo da cadere dall'alto.
Sulla statale che collegherebbe le due capitali, subito prima di entrare in Seoul, c'è una serie di questi passaggi. La porzione inquietante del gigantesco blocco in equilibrio sulle bombe è nascosta da messaggi della reclame di modelli di vita occidentali.
Il vicino di casa si prodiga nel far sapere che continua a fare gli esercizi di invasione. Di qua si è già pronti all'accoglienza.
come annunciato nel cablogramma #4, questo post è stato pubblicato in blurb, per la rubrica so long and thanks for all the fish. purtroppo per problemi tecnici che non saprei spiegare nè tantomeno risolvere, non posso caricare le immagini, al momento. provo piu` in là. se volete vedere le immagini fate riferimento al post originale. per documentare i tentativi trascrivo le parole che blogger mi chiede per verificare che io sia una persona e non un computer spammatore. chi ha un blog su blogger capisce, gli altri vivono bene lo stesso.
parola 01 25oct2006: qkngavj
parola 02 25oct2006: ltkwnb
parola 01 26oct2006: jmzputrc
parola 02 26oct2006: qwcak
parola 01 08nov2006: ikckmf
parola 01 12nov2006: cxaqow
parola 01 15nov2006:pdcjvztd
alla prossima, davide
20061016
Cartolina #1
cenetosessantesimo sesto giorno del nuovo calendario coreano
cari mamma e papà,
a volte i messaggi che le insegne coreane mi urlano dai muri dei palazzi proprio non li capisco.
altre volte sì.

alla prossima, davide
Cablogramma #4
cenetosessantesimo quinto giorno del nuovo calendario coreano
da lunedì su blurb, so long and thanks for all the fish, il secondo.
alla prossima, davide
20060915
Cablogramma #3
centotrentesimo quinto giorno del nuovo calendario coreano
hang over noodles
sono tornato dal festeggiamento del compleanno di un amico ad itaewon. vino grappa e barbaresco gaia. conclusione con la solita discussione sociopolitica con il ristoratore immigrato, fautore della nuova giovane italia mazziniana (ma expat), contro il degrado della società dirigente italiana. stavolta il dissidente di lotta continua ed io (sdraiato supino come sempre sulle posizioni di un partito che non c’è) non abbiamo molto da rispondere, soprattutto quando viene fuori il nome di demichelis.
rientro in cerca di una massa per arginare il dilago alcolico nel mio sangue, magari un sano pollo mangiato con le mani, ma l’unico mio conforto di una seoul dormiente alle quattro di mattina sono i miei favoriti instant noodles zangchang.
alla prossima, davide
20060914
Le parole che non ti so dire
quando sento parlare gli idiomi indoeuropei che non comprendo, mi sembra naturale cogliere alcune parole conosciute nel mazzo del discorso. queste fanno evidentemente parte del territorio culturale comune: non ci faccio attenzione, il più delle volte. (molta più specie sentire ordinateur e mégaoctet o ratòn).
anche nel coreano, che notoriamente è con l’italiano una delle due lingue fulcro del mondo del commercio internazionale, è quindi invalso l’uso di termini di idiomi fondamentalmente anglosassoni per sintetizzare un concetto. in particolare nel mondo dell’elettronica le parole computer megabyte mouse printing system brand design business (ma anche burgerking e macdonald), sono traslitterate in caratteri hangul, pur rimanendo grossomodo salva la pronuncia.
leggendo mi ritrovo a trascinarmi da un carattere all’altro biascicando come ubriaco un pe-nh bo-lhl per comprare una misera penna sfera.
seguire una conferenza di un designer coreano, saltando da un albero di business planning ad un ramo di trend setting; inventando liane per attraversare il ciacolìo sfuggente, in aria fino al prossimo accounting environment. sbattere come in un’epifania contro il palo della parola madre di tutte, che il coreano sente il bisogno di prendere dall’ingelse, perché un equivalente non lo sa usare: communication.
come annunciato nel cablogramma #2, questo post è stato pubblicato in blurb, per la rubrica so long and thanks for all the fish.
alla prossima, davide
20060912
Cablogramma #2
cenetotrentesimo secondo giorno del nuovo calendario coreano
succede che luca, il mio account planner preferito, ha un blog che si chiama blurb.
e poi succede che mi propone di collaborare a blurb.
so long and thank for all the fish, che è il titolo della rubrica, parte mercoledì questo.
prometto che questo non priverà i miei lettori e me de i 516.46. e viceversa.
viceversa vale anche per tre?
alla prossima, davide
20060909
Cablogramma #1
cenetoventesimo ottavo giorno del nuovo calendario coreano
(tornare? andare?) spostarsi, atterrare in terra zurighese, circondato dal mio amico esercito di occhimandorla. salire la scala come una mandria di nuovi proletari del jet-lag. e i fucilieri della corrazzata kotemkin al contrario lassù biondi e glaucopidi. e io pensare che non siamo noi gli strani della corea, sono loro gli svizzeri.
(andare? tornare?) spostarsi, atterrare in terra seoulliana. l’umidità istantanea post-condizionatore appiccica i vestiti. l'altro sono io, i taxi mi si offrono come se fossi uno straniero. il pullman sobbalza per un’ora e mi scarica nei pressi di novembrini, vicino casa.
poi scopro che l'ennesima missione di pace italiana si chiama operazione leonte.
alla prossima, davide
20060610
Comunicato dall'estremo oriente #16
cenetsimo ottavo giorno del nuovo calendario coreano
ci sono alcune cose di cui vorrei mettervi a parte.
gli ultimi giorni di lezione; miracoli che studenti, nullafacenti per quattro mesi, riescono a realizzare nelle poche ore finali.
alcune memorabili discussioni notturne di politica italiana tra un socialista di predappio, un ristoratore leccese, un affiliato di lotta continua e uno scettico piemontese; comodamente sistemati a metà strada tra guareschi e fight club.
la festa della repubblica a casa dell'amabasciatore catanese; e la sua collezione di arte.
le serate di preparazione al tifo mondiale, gente di seoul che cammina per la strada vestita di rosso con tanto di corna diaboliche luminescenti; non più again 1966, ma again 2002. il ruolo del calcio nello stemperamento della guerra fredda.
la primavera che è andata via con i primi refoli dei temporali estivi.
ma in fondo.

sarò a torino a partire dalla settimana dopo. ci incontriamo e vi dico a voce.
mi sembra neanche un mese che sono partito.
alla prossima, davide
20060528
Comunicato dall'estremo oriente #15
novantesimo quarto giorno del nuovo calendario coreano
ieri ho passato mezz’ora a cercare di salvarmi dalla lettura dei barbari di baricco. sono sempre lì, sulla prima pagina della repubblica. ammiccano. ma non voglio cedere. non voglio cedere al mieloso buonismo postvattimiano, mascherato da scetticismo e ironia piedimontina. non voglio cedere perché poi mi invischio mi accoccolo mi sdraio su quella prosa morbida. e ci sto bene. e questo stare bene mi dà fastidio. non lo leggo perché poi se lo leggo mi piace; però mi vergogno di dire che mi piace. e allora non lo leggo. e allora prendo e vado nel giardino segreto del palazzo segreto. che poi è un posto che tutti conoscono, qui vicino a casa. giardino segreto è proprio il suo nome.
è una bella giornata, e allora decido di portarmi dietro il libro giapponese, che è troppo tempo che ho iniziato ed è troppo tempo che non ho finito. mi addentro nel parco, dietro il palazzo segreto c’è un posto che conosco solo io. mi siedo su una panchina a guardare gli alberi che mi fanno ombra. faccio per aprire l'alleato nipponico.
evidentemente quest’angolo di giardino non è più solo un mio segreto, perché arriva un quartetto di ciacoloni che e si siede al mio fianco. la panca è per quattro; ci sono io che sono il quinto e quindi ci stringiamo, in nome dell’amicizia che lega i nostri popoli. e però si sa su una panca per quattro non ci si sta in cinque, e la piazza di zafferana ne è la costante conferma. loro parlano e ridono. i coreani quando ridono lo fanno un po’ ostentatamente, per dire e far sentire oh come mi diverto. le donne più degli uomini. non lo dico solo perché sono misogino; forse qui le donne da giovani non possono ridere, e allora da grandi ridono forte per recuperare. nel quartetto ci sono tre donne, vecchie.
mi rassegno, faccio un sospiro un po’ ostentato anche io (ma loro non sembrano accorgersi di nulla). chiudo il libro, mi alzo e cambio panca. nella mia nuova panca preferita c’è un vecchio che mi sorride silenzioso. è seduto e guarda il panorama di tegole nere del palazzo che sta sotto di noi. egli sta.
mi accomodo sul lato libero della panchina; per un attimo tento di sedermi con le gambe incrociate, ma rinuncio. mi slego i sandali e appoggio le piante dei piedi a terra. sento il brecciolino fresco sotto. sono mediamente soddisfatto della piega che sta prendendo il pomeriggio, anche se non progredisco come vorrei nella lettura.
sento dei movimenti sopra la mia testa, e ne vedo le ombre tra i miei piedi. alzo gli occhi e c’è uno scoiattolo grande così che mi guarda e mi dice di continuare a leggere, sennò col cavolo che scopro come va a finire il lettore di teschi. poi mi sorride e mi dice che mi vede sereno. sarà anche perché ho in tasca il biglietto aereo per la svizzera. mi rimetto a leggere. fruscìo di ali sulla sinistra, in prossimità della fontana di pietra. sono i primi due piccioni che incontro in corea. li guardo un poco in cagnesco. non sembrano capire il mio odio per il loro essere pennuti grigi e puzzolenti. do un cenno al coreano alla mia destra, gli sussurro 'ammazzateli adesso che sono pochi, sennò tra qualche anno scenderanno nelle piazze e prenderanno il potere come in italia'. poi mi rimetto a leggere, c’è un lungo spazio buio da attraversare, innominabili animali svolazzano nelle tenebre e il giapponese li tiene a distanza solo grazie alla flebile torcia che ha in mano.
il vecchio serafico si alza silenzioso e se ne va. me ne accorgo solo quando non sta più.
si avvicina un’ombra, un uomo si siede e mi chiede se disturba. io dico no, perché sono piemontese, ma la mia anima sicula dentro di me dice sì, minchia. l’uomo aspetta solo i secondi necessari a far scendere un discreto silenzio (le tre vecchie galline in lontananza continuano a ricordarmi che ridono, loro) e mi chiede
gesù ti disturba?
lui non disturba me, io non disturbo lui.
lui tace, stavolta ho risposto come cervello vuole. lui mi guarda un attimo e sibila, con occhio inquisitore
russo?
chissà se anche qui i russi sono ritenuti ancora atei stalinisti mangiabambini. magari i russi qui sono davvero atei stalinisti e mangiabambini.
no, vengo dalla spagna.
che è anche vero, una volta sono passato da madrid. tace. forse li ho battuti definitivamente, tutti gli ecumenici della corea. sportivamente mi stringe la mano, complimentandosi. si alza, fa per andarsene. poi si ferma, prende un legno e dicendomi
ricordati della croce.
traccia il segno nel brecciolino, proprio di fronte a me. poi se ne va, per sempre. colpito a tradimento dalla coda dello scorpione cristiano, rimango molti minuti a guardare fisso quel + sotto i miei piedi.
alla prossima, davide
mrlxdi
20060522
Comunicato dall'estremo oriente #14
ottantesimo settimo giorno del nuovo calendario coreano
come troisi che ricomincia da tre, io ricomincio da quattordici. il tredici in qualche modo esiste, un po’ nella mia mente un po’ nei miei sogni. a grandi linee è 12X11XX2X1122. magari il tredici lo faccio la prossima giornata e magari metto un 2 su juve-roma. ah no, la juve non c’è più nella schedina.
il senso dello stato in corea è forte, ma soprattutto ostenstato. il lotte department store, che è un iper-centro commerciale di lusso, apre i cancelli alle lussuose undici del mattino. all’apertura dei lussuosi cancelli, ai primi passi che i lussuosi clienti compiono tra i vari negozi gucci luis vitton armani jil sanders, risuonano in filodiffusione maestose le note dell’inno nazionale (a seguire l’inno della lotte corporation, anche se questa è un’altra storia). i commessi rimangono immobili e impettiti fino a quando la musica risuona nei lucidi corridoi. solo alla fine degli inni lo sporco mercimonio di desideri può cominciare lussuosamente.
non c’è pasqua, non c’è venticinque aprile, c’è il primo maggio ma non è per tutti. qui in corea è festa nazionale il cinque maggio perché è il giorno dei bambini. cosa che più laica è difficile pensare. a me piace il concetto che la festività sia legata al concetto scientifico del bambino. e non è solo perché sto attraversando il mio solito periodo di acuto desiderio di paternità primaverile, ma proprio per il valore laico, direi ciampiano che il concetto di giovane generazione si porta dietro. tanto più che giovane lo sono ancora, magari non tanto scientificamente. il children’s day solitamente è un giorno in cui il bimbo è più re assoluto del solito. è una cosa che anche in italia si farebbe se solo avessimo la sensibilità di fare una festa del genere e di non mascherarla con nomi tipo la festa del santo gesù bambino.
religione per religione, ho deciso di andare allo stadio a vedere una partita di calcio, seoul contro busan. essendo che era il loro giorno i bambini entravano gratis. e lo stadio era pieno (mai pensavo di citare venditti in vita mia). lo stadio era pieno di bambini. che, sempre per la paternità latente di cui prima, a me è parsa cosa buona e giusta e bella. poco prima dell’inizio della partita, le squadre già in campo, tutti tutti tutti si sono fermati ed alzati. silenzio irreale nello stadio. i bambini messi a tacere o taciuti da sé medesimi, e le note dell’inno nazionale coreano. io non so se l’inno coreano non ha parole, fatto sta che nessuno cantava. solo la musica e le mani di migliaia di persone sul cuore. e ho pensato che l’unica volta che ho sentito l’inno suonato in uno stadio è stato in un torino catania (1-0 gol di ferrante) di un po’ di anni fa, pochi giorni dopo la prima nassiriya. un minuto di silenzio e i tifosi siciliani che cantavano fratelli d’italia.
poi è iniziata la partita. l’ho capito dal fuoco di artificio che è esploso sotto la curva del seoul. un fiore di fuoco tutto rosso e fumo che si è alzato fino all’altezza della copertura dello stadio, con tutto un barluccichío di girandole verdi e fucsia che roteando si andavano allargando a coprire tutto fino ai distinti. e nastrini tutti d’oro che scendevano a pioggia dalle gradinate superiori. questi coreani sì che si intendono di raffinatezze. ancora l’ooh di ammirazione per l’ardito accostamento cromatico non si è spento, che già la squadra di casa passa in vantaggio. da una punizione innocuamente crossata dalla trequarti sinistra ad opera della mezz’ala offensiva ricardo (brasiliano? argentino? mah), il pallone, senza che sia toccato da nessuno, si insacca pigramente alla sinistra del portiere avversario. goal. e via con un altro fuoco di artificio. la reazione della squadra ospite si fa subito sentire e la compagine di busan, grazie ad un’azione più efficace che bella, prima pareggia i conti e poi si porta in vantaggio, proprio allo scadere dei primi quarantacinque minuti. niente botti per i goals degli altri, solo rabbia contenuta. durante l’intervallo oppio ai popoli. dopo un conto alla rovescia scandito all’unisono da tutti gli spettatori di lingua coreana, dall’anello di sommità della copertura dello stadio esplode una pioggia di migliaia di caramelle che si precipitano sugli spalti sottostanti da un’altezza di quaranta metri. un altro urlo di gioia e altrettante migliaia di mani alzate al cielo per cogliere quella inaspettata manna. messa così è allucinante. però la faccia dei bambini sopravvissuti alla pioggia di proiettili zuccherati era di un’allegria rinfrancante. vabbé. non so di preciso che tipo di caramelle i giocatori del seoul abbiano preso durante l’intervallo, fatto sta che rientrano come leoni e con una -fuoco di artificio-, due -fuoco di artificio-, tre -fuoco di artificio- e quattro reti (niente fuoco all’ultima, credo perché non si aspettavano così tante reti) liquidano la pratica. l’altra partita che ho visto dal vivo con un ammontare di goal paragonabile è l’unico derby di cui ho memoria: juve-toro 4-1, quando ancora giocavano tutte e due in serie A. comunque, dal ventesimo del secondo tempo tutti i bambini dello stadio dormivano e per loro la gara è finita diecimila caramelle a otto goal.
quest’anno il children’s day ha coinciso con il compleanno del buddha. non so se è il giorno dei bimbi che cambia data a seconda dell’anno, o se è buddha che cambia compleanno a seconda della luna. fatto sta che non è cosa di tutti gli anni che i due eventi coincidano. non so a voi, ma a me l’idea di compleanno di buddha mi fa venire in mente buddha infante; devono essere i miei secoli di dna italiano che cominciano a mescolare buddha con il children’s day. ma qui si è in corea e non solo nel mio cervello e quindi i due eventi hanno semplicemente convissuto, senza alcun sincretismo medievale. da una parte erano bambini allegri e pieni di caramelle, dall’altra era un’infinita teoria di lampade colorate che si inseguivano per tante delle strade della città. poi tutte le luci si sono incontrate intorno ai tanti templi buddisti. lì cosa è successo dopo non so, perché stavo dormendo dal ventesimo del secondo tempo.
dopo la partita ho rivisto una delle mie poche conoscenze coreane, la sosia di raffaela, che per comodità chiameremo yana. e mi è venuta un poco di nostalgia di raffa. ciao raffa, arrivo.
due lunedì dopo, il quindici, è la festa nazionale dei professori, il teacher’s day. verso le undici gli studenti mi hanno chiesto di andare alla celebrazione della giornata, che si stava tenendo in quei momenti all’ultimo piano, nella zona studio. io dico se proprio bisogna, ma in verità penso dai dai ragalo regalo. e allora siamo saliti nel sottotetto, che è il posto più bello di idas. appena ho raggiunto gli altri docenti della scuola, in mezzo allo spazio, tutti gli studenti intorno (diciamo un quarto degli iscritti) hanno intonato una canzone in coreano che canta il loro amore per i professori. e battevano le mani e sorridevano. che bello. che atroce. poi ci hanno dato i regali: una maschera di bellezza, una confezione principesca di te verde, due leccalecca. tornati in aula i ragazzi mi hanno fatto notare che i due lecca lecca non sono tali, bensì essi sono due preservativi colorati, con tanto di faccine sorridenti.
lo stesso giorno dei professori, ma nel pomeriggio, ho tenuto una lezione del ciclo design&business dell’università di hongik (pronuncia facile onghic, pronuncia bella ongic, pronuncia artistica onjec). il ciclo consiste in tre conferenze ripetute (sì tre volte la stessa conferenza, a tre uditori diversi). il tema è libero a scelta dai parlatori: c’è chi parla di design sostenibile, chi presenta nuovi trend del managment del design, chi annuncia l’imminente collasso della società, chi fa una panoramica mirata sul design europeo. un poco come quell’angolo del parco a londra, ma senza sedia: ciascuno tratta di uno degli argomenti che più gli stanno a cuore. io, che come sapete non ho cuore, e soprattutto non ho argomenti, ho intitolato la lezione players in urban environment e ho proposto l’analisi del rapporto tra il ruolo dei progettisti di calcio e il ruolo dei giocatori di architettura. dato che il pubblico non era erudito sui temi dell’architettura, il fatto di parlare di calcio a venti giorni dall’inizio dei mondiali del medesimo è sembrato fare breccia. alla fine c’è stato anche qualche timido battimano. sarebbe andata benissimo se non fosse che ripetere tre volte una lezione di due ore ti fa pensare alle cose che dici, e trovare ogni dettaglio incoerente (e ce ne sono a bizzeffe), nonché ti fa sentire chiuso in un circolo vizioso. ogni mattina ti svegli, bevi il tuo bicchierone di latte, ti prepari, vai a scuola, inizi la lezione, finisci la lezione, vai a mangiare, torni a casa, vai a letto. ogni mattina ti svegli, bevi il tuo bicchierone di latte, ti prepari, vai a scuola, inizi la lezione, finisci la lezione, vai a mangiare, torni a casa, vai a letto. ogni mattina ti svegli, bevi il tuo bicchierone di latte, ti prepari, vai a scuola, inizi la lezione, finisci la lezione, vai a mangiare, torni a casa, vai a letto.
un po’ come gli altri giorni. un po’ come gli altri giorni. un po’ come gli altri giorni.
alla prossima, davide
unqwsqje
20060426
Comunicato dall'estremo oriente #12
sessantesimo giorno del nuovo calendario coreano
comunicazione di servizio. è nato i 516.46 flickr. questa scelta risale ad una mia vecchia teoria. non vecchia in quanto non più valida, piuttosto antica in quanto radicata: se una foto vale mille parole, vuol dire che la foto banalizza il concetto. quindi per chi vuole oziare ecco qui le foto de i 516.46 flickr. bentornato nel mondo del *.txt a chi, come la pancia di simona, preferisce fare un poco di movimento della fantasia e immaginare me all’ingrasso, chiuso nella casa della mia mamma, a scrivere falsità millantando di essere a seoul. e questo solo per sottrarmi all’obbligo del voto.
questa mattina ho deciso di spolverare, confermare e affinare la mia teoria di seoul come grande città multimediastore. come già accennato vicino a casa ho la zona supermercato. c’è un dettaglio su cui non mi sono soffermato precedentemente. le varie zone mercatali hanno un loro punto di centro, in cui si può trovare il prodotto puro e scomposto. per esempio, se cerco ‘scarpe’, al centro della zona ‘scarpe’ troverò le scarpe e i pezzi per fare le scarpe; allontanandomi però in direzione della zona ‘tessuto’ si comincerà a trovare la scarpa di finto tessuto, la scarpa di cotone, il cotone per le scarpe, il finto tessuto calpestabile, il tessuto. la struttura della città può così essere ricostruita secondo delle centralità pure (bianco/nero), collegate da aree di periferie impure (grigi). in questo modo, l’apparente totale caos si regge in verità grazie una perfetta alchimia di ‘positivi’ e ‘negativi’ e ‘così-così’, un unico grande ‘nero%bianco’, o meglio, dato che le variabili non sono solo due, ma tante, ‘colore%colore%colore%...%colore’.appena ricevuta l’illuminazione psichedelica per la soluzione del grande problema ho deciso di mettere alla prova la teoria della matrice del colore.
da quando mi sono trasferito qui uso l’orologio che fu di mio nonno. lo uso qui e non lo usavo in italia, non so di preciso il perché (dev’essere qualche stupidaggine a riguardo delle radici della famiglia sicula). comunque, questo orologio da grossomodo sette anni aveva un problema: si era staccata la lancetta dei secondi. decido di applicare la formula magica. mi basta interpolare i dati: orologio, nonno, lancetta, svizzero, affetto, ferramenta, fabbro, sette anni, italia, amore. scarto i binomi impossibili (nonno-fabbro, perché il nonno era calzolaio; affetto-svizzero, perché di qui viene distante; setteanni-amore perché ho già pianto troppo per carla ricci; italia-lancetta perché mi fa venire in mente gladio). mi indirizzo nella zona colorata percentuale di orologi e percentuale di ferramenta. e lì, piccolo come i fratellini di firenze, sta l’uomo dell’orologio: lo guarda, sorride, lo smonta completamente, lo pulisce, lo aggiusta, lo rimonta. in dieci minuti e tre mila won. in soverchio adesso l'orologio perde cinque minuti all’ora. poi ho riattraversato le zone orologi, orologi a molla, elastici, pantacollant, tessuti, grembiuli, impermeabili, pesce, ponte sul fiume, natural born killer, sale matrimonio, teatro, scuola. come zuzzurro e gaspare al drive in, solo dal vivo.
a scuola uno studente del corso di digital media, totalmente fuori dalle logiche della domenica sera di italia1, mi ha fatto una domanda. perché frequentiamo questo corso se non ci insegna alcun programma per il computer? (ho deglutito e sono uscito dalla classe in lacrime, tremante e con i pugni alzati a questo maledetto cielo giallo. poi più tranquillo sono rientrato in aula e) ho cominciato lo spiegone sul ruolo della morte nella poesia, sul ruolo della poesia nella morte, sul ruolo della cucina nella letteratura contemporanea e sulla grande divisione tra materia che dà gli strumenti e materia che li utilizza. ho detto che il corso di cervello lo avevano già frequentato il semestre scorso. li ho guardati tutti e uno per uno. poi ho detto. o con me o contro di me. o con me o dassoli. o con me o la torta me la mangio tutta io. sembra ‘per un pugno di dollari’, ma è molto più ‘lo chiamavano trinità’. che comunque, massimo rispetto. un paio di ore dopo la lezione mi arriva un messaggio sul telefono **thank you professor ^--^ now it is much more clear ^0^ sorry i was so bad***. faccio un giro al saloon a salutare gli amici del bancone e mi dirigo infine verso la piscina. sì perché poi le piscine in corea ci sono, anche se lì devo separarmi dal mio fido revolvero.
iscrivermi alla piscina non è stato semplice, e per la prima volta ho capito cosa vuole dire quando si parlano veramente lingue differenti. per quaranta mila won dapprima potevo andare a fare la doccia in casa della segretaria della piscina; in seguito dovevo potare gli alberi del giardino; poi invece non c’era più la piscina, ma un maxi schermo con la proiezioni delle gare di tuffi femminili, con birra e divano; un’altra possibilità, lucidare tutti i mancorrenti in acciaio inox della balconata della sala. poi tutti gli ingressi per tutta la settimana, ma solo alle otto.
qui leggo (leggo è parola forte) che si può anche alle sette.
no alle sette non c’è.
allora dopo pranzo.
no dopo pranzo ci viene mia cugina.
appunto.
appunto.
insomma vada per le otto, ingressi per tutti i giorni tutte le settimane del mese. alle otto meno un quarto, con la puntualità deviata che mi contraddistingue, e supportato dall’orologio del nonno che segna le tre e ottantacinque (ma con i secondi), facendomi scudo con i lardominali scolpiti e con il mutandone ascellare della speedo, faccio ingresso nella sala dell’acqua. senza occhiali vedo omini sfocati che si tuffano con ritmo e elasticità, al grido ritmato ed elastico (-he-hoo-he-hoo-he-hoo-) di un altro ometto sfocato (però si capisce lo stesso che egli ha un sacco di muscoli). mi avvicino alla coda di tuffatori e faccio per chiedere qual è la corsia per il nuoto libero. indicano il muscoloso gridatore e allora a lui faccio la domanda completa qual è la corsia del nuoto libero. lui dice free? io dico che c’è claudia nel mio cuore, che in più ha dei pettorali più morbidi. lui dice non qui, quelle corsie in ombra laggiù. io faccio per avviarmi e lui dice non ora, che sono le otto meno cinque. sento una musica no non ora non qui, no non ora non qui. ah sì certo certo. controllo il mio orologio e sono le due e ventidodici. mi metto nell’angolo vicino alla mia corsia e aspetto, guardando i tuffatori che si tuffano, fanno tutta la vasca a farfalla, escono dall’altra parte. poi si tuffano, fanno di nuovo tutta la vasca a farfalla e escono dall’altra parte. poi si tuffano, fanno di nuovo tutta la vasca a farfalla e escono dall’altra parte. poi si tuffano, si mettono uno dietro all’altro, in cerchio (mi vengono in mente immagini da inferno dantesco, dev’essere il cloro), e si fanno i massaggi per le spalle e per la schiena, vicendevolmente. poi escono e se ne vanno. capisco che è il mio momento, mi avvicino alla corsia in ombra e mi tuffo, agile come un leone di mare. decido di fare come il mio solito, iniziare con una quarantina di vasche di riscaldamento e solo dopo scendere sotto il minuto per i cento metri sile libero. magari la prossima settimana punto al primato mondiale. alla seconda vasca mi sento toccare sulla spalla. mi fermo e mi giro contrariato. io non lo voglio il massaggio del sodomita. è l’omino sfocato e muscoloso che mi sorride che non posso nuotare prima della ginnastica.
scusi, buonuomo? sì prima della ginnastica. no guardi si sbaglia. no guarda tutti fanno stretching prima di andare in acqua. mi guardo intorno. mi rendo conto che sono l’unico in corsia, sono l’unico in acqua, tutti sono intorno alla vasca in posizione per cominciare l’esercizio di riscaldamento guidati dall’istruttore. tutti mi stanno guardando. mormoro non vi dovete preoccupare per me. allora l’omino si fa serio. mi guarda dritto negli occhi. mi dice
it’s dangerous!
mi rassegno. esco dalla vasca e mi avvio verso l’unico anello libero nella grande catena di occhi a mandorla. comincia la musica i'm a barbie girl in a barbie world. dissolvenza sfocata in cloro.
alla prossima, davide
jeqcxmg
20060408
Comunicato dall'estremo oriente #11
quarantesimoquinto giorno del nuovo calendario coreano
in corea ci sono i muri. intendo muri muri. e quindi i muri di mattoni di pietre di filo spinato; i muri di vetro. i muri che sono un salto in alto o quelli che sono un salto in basso. poi ci sono i muri che sono le frontiere. e quindi i muri a nord che si stanno piano piano sbriciolando da soli, i muri a oriente che sono stati sbriciolati da tempo e da altri, i muri verso occidente che sono pieni di buchi per vederci attraverso. poi ci sono i muri culturali. e tutti li provano a scavalcare, e in questo è bello l’ambiente che mi sembra di vivere, dove io tento di mangiare con le bacchette e loro mi chiedono di andare a mangiare la pizza. c’è da chiedersi cosa succederà quando, finito di scavalcare ognuno il proprio muro, ci si ritroverà ciascuno nel terreno che era dell’altro.
tanto tempo fa andavo per la prima volta a londra, con paolo. roba di quindici anni fa. e lì sugli autobus c’erano delle frasi che un po’ dicevano di pagare il biglietto (se un uomo in questo autobus fosse colto nel non pagare il biglietto, lo guarderesti in faccia?), un po’ facevano la pubblicità al film su jim morrison e i doors: ci sono cose known e cose unknown. in mezzo ci sono le doors (grazie paolo). in corea ci sono anche i buchi.




l’unico altro modo che mi viene in mente per vedere realizzati i sogni sognando che si realizzino è votare.
alla prossima, davide
sgaepwy
20060401
Comunicato dall'estremo oriente #10
trentesimoottavo giorno del nuovo calendario coreano
oggi ha piovuto tutto il giorno. mi dicono che è l’estate che è così. ma cosa ci fa l’estate a febbraio? comunque. dalla torre di est nulla si vede apparire all’orizzonte. direi meglio è l’orizzonte che un poco sparisce giusto poco dopo il vetro della finestra. continuiamo la navigazione a vista, anche se il pericolo di icebergz aumenta con il sopraggiungere della brutta stagione. colonna sonora by this river brian eno.
la pasta. dopo il primo stipendio ho sentito che era giunto il momento di cedere alla tentazione. sono entrato in un supermercato e ho comprato tutto il necessario per farmi la pasta. non c’era la passata p’a pummarola n’coppa. non c’era lo scolapasta. non c’era lo spaghetto e non c’era alcuna tipologia di pasta. e allora ho capito che è stupido guardare ad occidente per le proprie radici, quando la cultura della cucina dove vivi è tanto più forte, è inutile cercare posti per l’ancora quando sei nel mare aperto. ho preso dei pomodori, una retina per la frittura e dei noodles freschi. è così che nasce la cucina fusion, no? sennonché in italia è normale avere qualsivoglia tipologia di sale nella credenza. in corea niente sale, ancora grazie che se trovi dove è messa la credenza. la nonna era molto religiosa aveva una grande e forte credenza in cucina piena di ogni ben di dio. (non è mia arriva da bruno munari). non è che i noodles senza sale facciano proprio schifo, vah.
musica da strada. al di là della strada dove abito c’è un bar o un locale o una casa per appuntamenti (chessò, è al di là della strada…) chea qualsiasi ora del giorno e della notte emette musica in strada. tipo una filodiffusione dell’incrocio. a volte è vivaldi, a volte è maicol giecson, a volte è madonna. uno ci si affeziona a certe cose, si fa anche delle piccole scommesse, uscendo o rientrando. ci saranno le spaisgirl o leonard cohen? un ardito keith jarrett a colonia o i culture club? tornando a casa già pregusto l’antica tradizione dei noodles all’amatriciana, carico della prima spesona (anche un tagliere una padella le uova i succhi di arancia e altre amenità), svolto l’angolo affaticato ma tutto teso nell’udire quale propizio per la prima cena dopo il giorno di paga? il ballo del qua qua romina power. con tutto quello che si dice della cultura italiana nel mondo.
i megastore. il giorno successivo, con ancora l’ultimo noodle crudo metà al di qua e metà al di là del piloro, mi reco in uno di quei megastore di cui tanto ho sentito parlare. una sorta di rinascente, ma tante insieme e in coreano. per primo sono andato a lotte. credo che lotte sia una di quelle famiglie corporation che producono tutto, dal biscotto al palazzo. è pieno qui di queste corporation; mi sto informando, ne parlerò un’altra volta. insomma questo, tra i vari megastore, è quello del lusso. dentro ci torvi gucci fendi cartier e via così. e il lusso arriva fino al bocchettone dell’antincendio, che sembra d’oro ma è solo di ottone.
sono arrivato alle dieci e non era ancora aperto. allora sono andato a comperare un libro lì vicino che c’è una libreria immensa (della stessa catena di quella del grattacielo di botta). tornato, noto che stava proprio per aprire. ma attenzione al colpo di scena. tutti gli addetti alla vendita erano schierati davanti al banco e salutavano con un inchino tutti i clienti che passavano loro di fronte. dagli altoparlanti veniva una musica trionfale, tipo l’inno nazionale (o quello della famiglia del megastore, quale la differenza?). sono rimasti impettiti (o chini a seconda) per più o meno cinque minuti. poi sono tornati alle proprie cose, tipo mettere in ordine, pulire a specchio i pavimenti e le vetrine, accalappiare i clienti. sono uscito quasi subito e mi sono indirizzato al megastore hyundai (sì credo che sia quello che fa anche le automobili); perché laggiù avevo appuntamento con marco. seoul non avendo indirizzi ed essendo oltremodo estesa, di solito ci si dà appuntamento facendo riferimento a land-mark postmoderni. tipo i macdonald, i negozi degli stilisti, le uscite della metropolitana,
e appunto i megastore. questo senza dubbio accenderà una lampadina in tutte le menti socio-geografiche all’ascolto, come d'altronde l’ha accesa nella mia. comunque sono arrivato come mio solito in anticipo. sono entrato nel megastore. ne sono uscito in orario con un paio di scarpe da trekking appena acquistate. e qui le lampadine che si accendono sembrano la corona della santa nella processione di zafferana etnea.
le tombe. per dare un utilizzo alle scarpe nuove ho deciso di andare a fare una passeggiata tra i boschi che circondano la città. dopo un’ora tra metro e bus mi trovo ancora nel territorio comunale e sono di fronte all’inizio della camminata. ancora la primavera non è esplosa, ma l’aria comincia ad essere tiepida. dopo venti minuti mi ritrovo in una radura (dopo un bosco c’è sempre una radura) costellata di lapidi. è una serie di tombe. io penso che è bello che il cimitero sia in mezzo al bosco. in più constato che (come mi avevano detto) la testa del defunto è sempre rivolta a nord.
continuo nella passeggiata per un’altra mezzora. e incredibile dictu, superato un masso, comincio a sentire nell’aria della valle la famosa pubblicità della victor respira vivo (quella dove un monaco buddista che ha la tosse mangia una caramella e comincia a cantare). decido (e come no?) di procedere fino al monastero. dopo altri trenta minuti sono lì. il racconto è semplice perché semplici sono i fatti. ma quanto è buddista ‘sta frase!
i palazzi con la punta. c’è una legge nell’urbanistica di seoul (ma anche in certe metropoli americane, se ne parla diffusamente in delirious new york del mio amico rem) per cui la volumetria dei palazzi deve diminuire con l’aumentare dei piani fuori terra. questa disposizione permette alla luce del sole di arrivare almeno per alcune ore del giorno a illuminare le strade. così sembra che ci sia più cielo anche al piano terra; vicino al caffé della polvere ho trovato questo.
lezione. gli studenti mi hanno chiesto di fare una presentazione dei miei lavori. io per me non ci tenevo; ma loro sì. ho impostato la cosa un poco sul gossip intorno alle persone con cui ho vissuto e collaborato. quindi se vi capita di venire a seoul e di essere riconosciuti, sapete il perché. per essere chiari, questa è l’immagine su cui ho basato un terzo del discorso. (colgo l'occasione di rigraziare fracesca e i suoi consigli)
di più, se non ci state ad essere esclusi, e se volete essere partecipi della prossima, mandate immagini di voi. per la precisione me ne servirebbe una dai campi di calcetto del mercoledì e del sabato (serio).
la prima cena. dopo il grande successo della lezione, gli studenti si sono sentiti di potermi invitare a bere alla sera. ed ecco la prima immagine della scolaresca.
una cosa mi ha inquietato. a metà serata è partita l’indianata. chi sbaglia beve un bicchiere di soju. che è una sorta di vodka calda, ma più buona della vodka calda. in pratica si sono tutti messi a cantare sottovoce una strana nenia tipo cincinguri cia cia cincinguri cia cia cincinguri cia cia cincinguri cia cia (per chi volesse ho anche un video). e poi uno dice un numero e comincia il giro e a turno si dice cia cia oppure miss fino a che si sono detti abbastanza cia cia quanto il numero detto. e poi tutti alzano le mani urlando alalà e si ricomincia. non notate anche voi una inquietante somiglianza con il ballo del qua qua?
pensieri. la sera è calata e persiste la pioggia. disegno i mobili per la stanza della mia torre, ma è solo per finta. la mente e lo stomaco sono già a martedì mattina, alla diretta del confronto tra pro-dee kim e bel-hoo chon.
ho scritto tutto questo nel giorno che nel vecchio calendario europeo è detto il primo aprile. quale delle notizie precedenti è uno scherzo?
alla prossima, davide
20060327
Comunicato dall'estremo oriente #9
trentesimoquarto giorno del nuovo calendario coreano
anche se non dovrei, chiedo venia per il ritardo nella trasmissione di questo mio. è che il tempo ha cominciato a correre con l'arrivo delle temperature più miti. in oltre una serie di complicate procedure burocratiche mi hanno legato a tempi e corse transcittadine. procedure complicate tipo il pagamento dell'affitto, il riappropriarsi del passaporto e con esso della mia nuova identità, la spesona al supermercato, l'acquisto della macchina fotografica.
ieri pomeriggio di ritorno da uno dei miei giri che saprete solo al prossimo comunicato, decido di riposarmi nel caffé della polvere. sognavo un riposante stravaccamento al tepore dei raggi pomeridiani, la musica di un pomeriggio viennese, la mia cameriera preferita, un té con i pezzettoni dentro, magari un boccone di torta.
la musica era italiana, niente torta, il posto vicino alla finestra era occupato, ma tanto il sole al pomeriggio non arriva e neanche la cameriera. peraltro, non sono neanche stato mai a vienna. ma bando alle ciance. finalmente le prime immagini dalla nuova fotocamera dell'inviato.

l’ingresso è al di sotto il grande cartello hakrim coffee. c’è un porta che dà su un corridoio di legno scuro; il corridoio arriva ad una scaletta scura che si attorciglia fino al primo piano. notare l’aspetto vagamente nord europeo, ma attualizzato con lussureggianti accostamenti magenta-ciano. hakrim potrebbe voler dire polvere. ma tanto che ne sapete voi che state laggiù?
appena si entra, e quando ci si siede nel posto dove mi sono seduto io, ci si confronta con una raffinatezza di progettazione che è rara di questi tempi (un qualcosa tra uno scarpa un albini un cavaglià e un giordano arreda). in particolare notare le finestre sulla destra, in corrispondenza equivalente del posto a sedere (lo so che il posto è arrivato dopo, probabilmente, ma non è affascinante questo incontrarsi tra l’arredo e l’edificio, fino al confondere cosa ci sarà prima e cosa c’era dopo?). a sinistra, invece, si intravede la sezione del ridotto soppalco: il corridoio rimane ad una quota di due gradini più bassi, in modo da consentire un’agevole percorribilità, e i posti a sedere si sopraelevano, per agevolare la fruizione dell’area sottostante. questa immagine è un po’ postprodotta. ma tanto che ne sapete voi che state laggiù?

marco, che mi ha raggiunto nel tardo pomeriggio, dice che difficilmente in seoul c’è un locale altrettanto vecchio. 1956.
alla prossima, davide
rsckp20060318
Comunicato dall'estremo oriente #8
ventesimoprimo giorno del nuovo calendario coreano,
spenderò questi due minuti e mezzo di introduzione per perorare delle istanze che sono tutte mie e private. vorrei che fosse chiaro che questo non è un programma tipo ‘ve la do io la corea’. è piuttosto un diario di brodo e di zuppe coreane. insomma non fatemi fretta che sennò scrivo porcate e leggi elettorali.
tv. martedì notte quaggiù c’è stato l’atteso confronto politico tra i due leader politici pro-dee kim e bel-hoo chon. un po’ tutta la nazione e l’asia stavano aspettando questo momento, da quasi dieci anni. tant’è che, malgrado l’ingessatura del contesto (solo pochi stendardi rossi, un basso tavolino scuro, una griglia per la carne sul fondo, due zuppe fumanti al centro), non grande è stata la lotta né aspra né forte. pro-dee, pur essendo partito come un risciò a tarda sera, stanco, ha trovato la via in discesa. bel-hoo chon è sembrato più un tassista ubriaco tra le curve di montecarlo. questo è quanto si è visto da qui, col favore dalla distanza e con le prospettive un poco più piatte; è sembrato di assistere alla ripresa al rallentatore di un sopraggiungente autunno. mi riferisco nel particolare al momento in cui bel-hoo chon ha esposto la sua visione ottocentesca della categoria delle femmine; mi domando e chiedo (e cito così sho-gee, giornalista presente al dibattito) perché in quel momento pro-dee kim non ha sferzato l’attacco mortale, perché ha avuto pietà e non ha infilzato l’avversario con il sacro pugnale dell’emancipazione? perché in questo confronto abbiamo solo assistito ad un suicidio politico? perché non abbiamo visto il rosso sangue? è forse questa la strategia, quella di far disfare tutto agli altri? perché non ci assumiamo un poco il compito il diritto il dovere il piacere dell’uccidere? ai postumi del mal di schiena di bel-hoo chon l’ardua sentenza.
thesis. dopo l’ultimo faculty meeting, non so come, mi sono ritrovato con quattro tesisti. intendo gente che per estrazione o per scelta (ma su quali basi?) hanno scelto me come supervisor del loro lavoro di diploma. due sono uomini, hook-lee ming e choi-lu park. il primo fa una tesi su nuovi sistemi del controllo del traffico. l’altro disegna una nuova fermata per l’autobus. i nomi delle femmine con l’ultima riforma sono stati aboliti. per loro solo sommarie descrizioni oggettive (bionda-mora, alta-bassa, bbona-racchia). una di loro (bassa-racchia) fa un lavoro sulla proiezione di film per schermi mobili, ma pensavo di cambiarle il titolo e di approfondire la grafica del ricamo tradizionale; l’altra (mora-bbona) progetta un’interfaccia non fisica per sistemi di gestione della casa, cosa che comunque mi sembra più appropriata alla specie cui appartiene. tra due settimane tutti i diplomandi devono presentare il tema della tesi alla riunione plenaria dei professori. ho suggerito agli uomini di preparare un comizio elettorale per convincere la platea. alle donne di fare un peep-show per scioccare il pubblico.
digital media design studio 1. i lavori si approssimano alla prima verifica, che consisterà nella presentazione del proprio lost space ritrovato. gli studenti dispongono dai dieci ai quindici minuti di completa libertà espressiva (proiezioni, film, conferenza, teatro, mostra); in ardito parallelo con la presentazione delle tesi di cui al capo precedente, il fine è di riuscire a convincere me e gli altri studenti (ombre di finta democrazia arrivano fino a seoul, soffiate dal vento del nord) che proprio il loro caso studio sarà quello più adatto alla prossima esercitazione. ho suggerito loro di controllare ogni parola e ogni immagine della presentazione. ho chiesto di sorprendere per convincere, ma non so se sono stato chiaro; nel dubbio non mi aspetto niente, così se arriva anche mezza sorpresa vale doppio. comunque fermarmi per veder lavorare la gente è un piacere che non mi ero mai concesso prima.
typo & image 2. dopo la mia lezione in cui proclamavo che la giusta e nuova via è less is less, more is more, e cioè più si lavora meglio si produce, gli studenti lavorano, ma mi guardano con occhio meno benevolo. che dire? capiranno. mi piace il tema dell’esercitazione che stanno svolgendo, e nel mentre che li vedo all’opera mi vengono in mente varie possibilità. non so se dirle ora o dopo. continuo a mangiare instant noodles, e la dipendenza dal cibo chimico aumenta.
contemporary issues in design 1. ho già accennato che il terzo corso cui attendo (insieme a simone da cambiano) è uno dei corsi di dottorato. non è un corso che tutti i professori amano, essendo spesso non esattamente attinente al proprio campo dello scibile, e soprattutto relegato in orari tardo pomeridiani della tarda settimana (dalle cinque alle otto del giovedì). e allora la struttura del corso che noi due, raffinati strateghi italiani, abbiamo approntato è la seguente. ogni professore della scuola deve tenere una ed una sola lezione durante tutto l’arco del semestre. il titolo della lezione è libero, e i docenti spesso presentano lezioni preparate per altri contesti. ciascuno a fianco della lezione mette a disposizione la serie di slides usate, in modo che alla fine ci sia un’ampia collezione di immagini. allo studente del corso il compito di ricreare un personale percorso utilizzando solamente alcune foto e alcuni schemi, presi però da tutte le lezioni. a giugno, raccolti tutti i saggi, si produce un libro, che varrà in qualche modo come pubblicazione per tutti. grande motivazione da parte dei dottorandi e piccolo impegno del corpo docente. l’unione della scuola fa lo sforzo dello studente. non so perché ve lo racconto, forse è il mio personale e soporifero canale dedicato al gioco del go.
l’ultima lezione è stata tenuta da roger pitiot, designér francese, in forze al dipartimento di product design. sì è quello di uàit monkìs. sono passati già un paio di giorni, e quindi il ricordo mi si annebbia; però il senso della lezione, che passava dai situazionisti a borges a eco a matrix a macluàn a il media è messaggio a il media è massaggio e la realtà è finzione a adbusters a undesign a venature di impegno anarcoide mi hanno fatto pensare (a fabio) e mi hanno divertito.
video. in seguito una vernice per la presentazione di un video di una exstudentessa di IDAS. momento dagli occhi grandi, nel senso che il luogo (l’ambasciata spagnola) era pieno di occidentali. il video così così. poi, tornando alla mia torre ho scoperto (ok, rogér mi ha fatto scoprire) che giusto dietro casa c’è un circolo di jazz, nonché un’altissima concentrazione di teatri. il mio tracciato di quotidianità si sta tranquillamente disegnando da solo; scuola, donkas, caffetteria polverosa, zuppa vietnamita, circolo jazz. la domanda si sorge spontanea: uscirò mai dal mio isolato?
internet. meno male che da ieri ho internet a casa, così in qualche modo almeno dalla sala ovale ci devo passare. uno pensa che in un paese che si accinge a scalzare l’italia dal G8 come è la corea del sud (mai avrei pensato di poter concordare con sergio pininfarina…) avere una connessione internet sia un automatismo piuttosto che una richiesta. e infatti tecnicamente è una fesseria, niente pubblicità di bobonevieri, niente scatole nere che ti arrivano a casa, niente numeri da inserire o connessioni da avviare. ma per avere il tecnico a casa, con il servizio telefonico che parla solo un dialetto stretto del quartiere di dongdaemun, mi ci sono volute una trafila di due giorni di fax e di telefonate e richieste se c’è un amico coreano nei paraggi, ma ce l’ho almeno un amico? e io sì di amici ne ho, sono un po’ fuori mano, forse. insomma. venerdì mattina, dalla nuvola gialla di un’improvvisa esplosione in prossimità del bagno, appare questo tale di aspetto vagamente bafomettiano, un omino odoroso con fili che gli spuntano dalle tasche e dalle orecchie. smonta le prese, apre delle sue scatole e scatoline, accende i suoi fungitopi elettronici. le uniche parole che dice sono auongò iounongò, indicando sopra e sotto. scumpare turiddu, cumpare turiddu. finalmente attacca il computer e internet funziona. un ultimo sorriso arcigno, una luce che tracima dal suo essere, un’esplosione, un fumo. disappare lasciando permanente il suo odore di zolfo. io non ho detto parola.
denari. martedì arriverà la prima paghetta. è un po’ come natale che si avvicna. nel mentre, con la mia nuova diabolica connessione alla grande rete del mondo, controllo i voli seoul-zürich, in modo che ci sia un po’ di felicità anche per noi.
c’è una gazza che svolazza intorno al palazzo di fronte. fa fatica a salire in quota, e allora si ferma prima sul bordo di un cornicione. poi si ferma sulle luci di segnalazione degli ingombri, quelle rosse che la notte fanno le città come aeroporti. poi raggiunge una delle scritte della pubblicità in cima all’edificio. porta nel becco un piccolo ramo e lo posa nell’ansa di un sorriso tra le parole amiche. costruisce un nido in coreano.
la primavera intanto tarda ad arrivare.
alla prossima, davide
ilxdudc
20060314
Comunicato dall'estremo oriente #7
decimosettimo giorno del nuovo calendario coreano
accolgo alcune note arrivatemi in via privata e riduco la lunghezza dei comunicati. mi sa che comunque non è che poteva capitare che ogni giorno è una sorpresa da raccontare. è in italia che ci sono le elezioni, c’è berlusconi, c’è prodi: è lì che pulsa la novità. è da lì che mi aspetto ogni giorno un nuovo comunicato.
prima impressione. ho già accennato al fatto che gli studenti dello studio di digital media design hanno come prima esercitazione il cercare gli spazi disusi della città. per evitare di perdere i già detti pulcini nelle lande di questo borgo da dodicimilioni, ho fatto che circoscrivere il campo di analisi ad un unico block. che grossomodo è grande dodici volte uno dei nostri a torino. per sfida e per inerzia ho passato la fine della scorsa settimana senza uscire dall’isolato. praticamente non mi sono accorto della mia autolimitazione. tutto a portata di mano, scuola, familymart (che è come il supermercato crai di via berthollet, ma è aperto sempre), la banca, il donkas, la caffetteria, il vietnamita. guardo con indifferenza lo starbucks e il burgerking che ammiccano dall’altra parte dell’oceano, al di là del semaforo. potrei vivere qui dentro, nella mia turris eburnea, per sempre. non fosse per voi.
undicesimo fatto. (brandello dello scorso comunicato) la casa la sapete già tutta. nel senso che non è che ci sia molto di più della stanza tonda. un bagno e un angolo cottura. altro non serve. subito fuori dalla porta, però, c'è un buio fitto. sembra di aver attraversato lo specchio di matrix. però al negativo. si intravede giusto un corridoio cominciare. ai primi passi si accende una lampada, una via di mezzo tra il cavò di una banca e l’ultimo rifugio di hitler. non è che ci sia molta differenza, e questo mi fa pensare a hitler alle banche e a me. comunque. altri passi. si spegne la luce di dietro, se ne accende una davanti. lo so che esistono i sensori di movimento. ma proprio nel corridoio della mio castello, con orde di occhi a mandorla nelle tenebre pronti per rubarmi la mia preziosa carta della metropolitana prepagata? così si va avanti per ventimetri, sette tenebre e sei luci. al fondo c’è l’ascensore. (nell’attesa che arrivi l’ascensore muoversi così che l’ultima luce non si spenga). l’ascensore, l’ho già detto, ma lo ridico ché fa scena, è di quelli tutti vetrati. ci ha anche le lucine che si vedono dall’esterno. avevo sempre pensato che più pacchiano delle lampade al neon viola montate sotto lo scooter non esistesse nulla. poi vi mando le foto. all’ingresso risiede il portinaio. ha un suo bancone, con la tv e la stufetta elettrica sempre accese. io saluto, anion-aseio. lui dorme. invariabile. ha la stufetta accesa perché oggi qui ha nevicato.
l’altro giorno ho avuto fame. sto lentamente assumendo le abitudini del luogo. quando un coreano ha fame un coreano mangia, che è un po’ come facciamo noi del lato giusto. però noi ci teniamo la fame generalmente fino al mezzopasto più vicino. un coreano no, un coreano che ha fame mangia subito. a questo credo si debba il fatto che qui è un luogo pieno di posti piccoli dove mangiare a poco prezzo. ma torniamo all’altro giorno. camminavo tranquillo dentro il mio recinto di marciapiedi e ho avuto fame. quindi ho mangiato. il primo posto che ho incontrato e in cui sono entrato era gestito dalla mamma di nicola. mi sorrideva come sempre, solo che stavolta faceva finta di non capire. io per conto mio mi sforzavo di fare i miei soliti chiarissimi tentativi di comunicazione a gesti gentile signora passavo di qui e ho pensato che bel posto tipico è questo e mi sono detto adesso entro e do un’occhiata se c’è qualcosa di buono e poco costoso da mettere nel mio stomaco occidentale non è che disturbo?
lei mi sorride e dice sì. io lo so cosa vuol dire. vuol dire che non ha capito.
ripeto. e per esser più lineare spiego con pochi cenni anche la situazione in cui mi sono trovato una volta che c’era una manifestazione e sono entrato in un bar che faceva un marocchino molto buono sa cos’è un marocchino?
lei mi sorride e dice sì. io lo so cosa vuol dire. vuol dire che non ha capito.
mi tolgo la giacca e mi accingo a spiegare la situazione politica dell’italia all’inizio degli anni ottanta, la morte di berlinguer, le brigate rosse, l’ascesa di craxi, fanfani, andreotti, i fatti di comiso. quand’ecco che entra un colletto bianco disceso da uno dei palazzi dell’altra parte della strada. io penso extraliminale. mi rivolgo a lui, adocchiando con cupidigia le perline e gli specchietti che fa sbarluccicare dalla tasca. gli dico che ho fame, che sto studiando da coreano e che quindi devo mangiare. lui mi sorride e mi dice cosa vuoi mangiare. mi indica il menù in coreano, io decido una cosa a caso, lui si rivolge alla proprietaria e dice dul-bibimbap. non accenna alla fine della prima repubblica.
durante il pasto scambiamo quattro parole. nel senso quattro quattro.
davide io vengo dall’italia.
coreano anche io sono cristiano.
ciononostante alla fine lui mi invita a casa sua per conoscere il primo figlio e la moglie che aspetta il secondo. dato che so che è cristiano decido di esorcizzarlo offrendogli la cena (3500 won, che sono 2.98 euro). mi lascia il suo biglietto da visita e va alla più vicina chiesa.
finalmente ho aperto il conto in banca coreana. finalmente sono entrato nel grande mondo che conta, con appoggi financo in paradisi orientali. la grande esplosione del mercato giallo. il galoppo delle tigri. per ora l’estratto dei denari è zero. il conto è a nome davidemusme (undici lettere). il codice segreto è baburu (questa è per intenditori). per completare le pratiche sono andato all’ufficio di immigrazione. lì ho dovuto avviare la trafila per avere la carta di identità coreana: presentare un certificato della scuola, mostrare il contratto, pagare 10.000 won, lasciare il mio passaporto. fino al venti marzo sono nessuno, senza tutela, senza prospettive. questa sensazione familiare mi tranquillizza.
a casa ho la televisione. l’antenna tentenna (questa è per tutti), l’unico canale anglofono che ricevo si chiama onstyle e trasmette boiate. sono diventato sexandthecitydipendente. due canali più in basso c’è una rete sportiva coreana che trasmette ininterrottamente senza pubblicità partite di go. molti di voi sanno che cosa è il go. altrettanti no. il go è un incrocio tra la dama cinese e la dama e basta. è una griglia di diciannove per diciannove incroci su cui i due giocatori a turno dispongono una pedina (nera, bianca, nera, bianca). quando disponendo le tue pedine circondi completamente una porzione delle pedine dell’avversario, tu mangi le pedine del tuo avversario. vince chi alla fine ha più pedine in campo. mio fratello adora questo gioco e correggerà meglio la breve descrizione delle regole che ho testé dato. tuttavia non riuscirà a convincermi che questo gioco non è una palla. che questo gioco merita un canale completamente dedicato. in cui passano delle ore ad analizzare la partita, con le possibili mosse non fatte e le prospettive che si aprono con le nuove configurazioni. vi è sembrato lungo inutile e tedioso questo paragrafo. immaginatevelo per ventiquattro ore. (perché lo vedo? perché non mi mandate le puntate di porta a porta in campagna elettorale, ecco perché)
questa domenica tirava troppo vento e troppo freddo per questi mezzi uomini di coreani. hanno rimandato la rivincita del gioco della palletta. in compenso mi hanno assicurato che pregheranno perché la prossima settimana faccia bello e caldo ##^^##.
in italia ho mangiato instant noodles solo una volta. qui ho visto che tutti i seveneleven ne hanno almeno uno scaffale pieno. le istruzioni sono scritte nei soliti ometti casette e sorrisini. e allora per la prima esercitazione (l’ho già detto, magari) del corso di typo&image ho chiesto di prendere la confezione dei propri instant noodles preferiti, di tradurli e ridisegnarne la grafica per il professore occidentale. nel mentre sono diventato dipendente di questo fantastico preparato completamente chimico.
sto per inviare il nuovo comunicato e mi giunge il commento di giuseppe riguardo la truffa del parcheggio ikea. ebbene, seoul è ikea-free. tempo fa gli svedesi sono sbarcati con una rivendita per testare il mercato. dopo poco hanno rinunciato, perché i coreani non hanno alcuna cultura del fai da te. se una cosa si rompe, la fanno aggiustare da altri. se una cosa è da montare, non la comprano.
accendo la televisione, prima di andare a scuola. l’inquadratura è ancora fissa sui 361 incroci della scacchiera del go.
alla prossima, davide
gffwzssi
20060310
Comunicato dall'estremo oriente #6
decimoterzo giorno del nuovo calendario coreano
prima immagine dalla fish ball hall.

prego notare i palazzi prospissienti
le scritte sorridenti
la gente lavorante (sono le dieci)
il telaio della finestra curva
la finestra curva
un raro esemplare di uàit monkìs giovane
tutto il resto è cielo
sì. è la prima immagine del nostro uomo in corea. non mi hanno pagato, è solo la webcam.
primo indirizzo.
davide musmeci
#908 Daebo Maronietel, 206, Yeongeon-dong, Jongno-gu, Seoul, 110-770, Korea
alla prossima, davide
ylirg